BROADCAST YOURSELF, MA CI GUADAGNIAMO NOI

Perché YouTube potrebbe essersi trasformata da piattaforma egualitaria a una sorta di monopolista antimeritocratica?

L’intuizione geniale di Jawed Karim, Chad Hurley e Steve Chen ha avuto un successo esplosivo appena la piattaforma viene lanciata sul Web nell’ormai lontano 2005, attirando l’attenzione di Google ed entrando quindi tra le sue proprietà. L’elemento più rivoluzionario di YouTube, oltre che di carattere tecnologico – per la radicale semplificazione del caricamento di video online – sta nel suo configurarsi come un vero e proprio palcoscenico democratico, in cui chiunque può esibirsi e, dal nulla, raggiungere un pubblico potenzialmente globale senza bisogno di superare i difficili ostacoli della tradizionale ascesa alla visibilità.

È chiaro che, tuttavia, nel momento in cui la quantità di contenuti pubblicati si moltiplica a dismisura, è necessario costruire un modello di gestione dei creators che garantisca agli utenti una fruizione facilitata e personalizzata e alla piattaforma una corretta distribuzione degli introiti. È in questo contesto che si inseriscono, tra gli altri partners, i multi-channel networks: si tratta di soggetti che fanno da intermediari tra YouTube, i creatori di contenuti e gli inserzionisti pubblicitari, e che si occupano sostanzialmente di tutta la catena del valore dei video, compresa la monetizzazione delle views.

Accade però che l’offerta di UGC continua ad aumentare, e questi players rendono il proprio business sempre più verticale e sempre più generalista in termini di YouTubers sostenuti, per cui sostanzialmente si prediligono contenuti professionali o semi-professionali per garantire guadagno e per raggiungere livelli elevati di qualità percepita. Com’è possibile, a questo punto, emergere con i propri video senza un agente e soprattutto una significativa quantità di risorse economiche?

Ma c’è di più. In linea di massima, a un creator spetta il 45% degli introiti generati dalle visualizzazioni e questa quota non dipende né dal numero di pubblico raggiunto né dal tipo di video pubblicato, quindi senza alcuna distinzione qualitativa del contenuto. Inoltre, i proprietari dei canali non hanno alcun accesso ai dati identificativi dei propri iscritti, non potendo dunque in alcun modo raggiungerli personalmente – tramite newsletter, per esempio – per promuovere l’eventuale l’avvio di un’attività su una piattaforma diversa. Infine, come per tutti i social media, i sistemi algoritmici che governano la visibilità più o meno elevata dei contenuti pubblicati sembrerebbero essere sempre meno prevedibili e sfruttabili in chiave strategica.

Forse è anche per tutti questi fattori che molti YouTubers stanno sempre più privilegiando la piattaforma Twitch, pur richiedendo essa un impegno performativo per certi versi maggiore, essendo basata sul live streaming. In ogni caso, il dibattito è ad oggi piuttosto acceso, per cui non dovrebbe stupire l’implementazione di cambiamenti nel prossimo futuro che tentino di recuperare, almeno in termini percepiti, la natura originaria della piattaforma.  

Melissa Dello Monaco