«Non comprerò mai più prodotti Nike» è uno dei commenti più gettonati all’ultimo tweet di Nike Giappone.
Il recente spot che il brand ha realizzato per il pubblico nipponico ritrae tre giovani ragazze, ciascuna di nazionalità differente, che grazie alla loro passione per il calcio superano il razzismo e il bullismo dei coetanei.
In Future isn’t waiting – è questo il titolo della campagna – Nike si schiera dalla parte delle minoranze discriminate, promuovendo lo sport come strumento di crescita, di realizzazione e di manifestazione personale, ma anche e soprattutto di unione.
E non è una novità: il leader di mercato delle calzature sportive, da ormai un paio di decenni, ha intriso le sue iniziative promozionali di un fortissimo orientamento sociale e culturale che vede al centro l’abbattimento delle disuguaglianze, soprattutto etniche e di genere. Ma, questa volta, una grande fetta di pubblico giapponese ha visto l’attitudine di Nike come una grave offesa.
Secondo molti utenti che hanno commentato il video dello spot pubblicato in rete dal brand, Future isn’t waiting avrebbe rappresentato una versione della società giapponese moderna estremamente distorta, lontana dal suo reale assetto sociale, che sarebbe invece decisamente più evoluto in termini di giustizia e parità. Pertanto, Nike dovrebbe essere escluso dai propri acquisti e addirittura boicottato, essendosi reso a sua volta portatore di pregiudizi culturali.
Non mancano, però, commenti che permettono di ipotizzare un parallelo e ampio apprezzamento dello spot da parte degli utenti giapponesi. Molti di loro, infatti, affermano di essersi pienamente ritrovati nella storia delle tre ragazze proprio per il fatto di aver subìto le stesse forme di discriminazione; altri, invece, semplicemente esprimono il loro supporto al brand per la sua scelta di trasmettere messaggi di uguaglianza.
Quindi, potrebbe essere lecito ritenere che l’indignazione degli utenti che si sono dichiarati parte lesa sia sintomo della volontà di alzarsi dalla sedia scomoda della verità? Oppure Nike ha davvero tentato senza successo di nascondere un’accusa di razzismo alla società giapponese, prendendo parte al pericolosissimo gioco degli stereotipi?
Se così fosse, sarebbe necessario poter osservare una narrazione di stampo diverso da quello di Future isn’t waiting negli spot destinati ad altri pubblici, soprattutto quello domestico. Eppure, è proprio negli Stati Uniti che il brand ha realizzato le campagne più marcatamente sociali, fondando la gran parte dei suoi messaggi pubblicitari proprio sul problema del razzismo.
Forse, allora, ciò che Future isn’t waiting intende essere è semplicemente una trasposizione coerente e fedele di quanto l’azienda ha comunicato a tutti gli altri Paesi: che il perseguimento dell’uguaglianza si rende necessario in egual misura laddove si bussi alla porta di mille razzisti o di uno solo, e che è opportuno assumere come presupposto che le discriminazioni si insidiano in ogni angolo del mondo.
Oppure, Nike sta solo sfruttando da sempre l’emotività dei discriminati e degli empatici per guadagnare clienti fedeli e possibilmente generosi; il che, nell’era del complottismo e della diffidenza cronica, non è mai da escludere.