IL NUOVO VOLTO DI VOGUE ITALIA

La rivista di moda italiana da sempre sinonimo di avanguardia si affaccia al 2020 con un numero unico nel suo genere, non solo innovativo ma sostenibile. Emanuele Farneti, direttore dal gennaio del 2017, svela sui social le copertine del primo numero del nuovo decennio e spiega che la creatività può, e deve, farci esplorare nuove strade.

Altre edizioni di Vogue, in più di un secolo di storia, hanno proposto copertine illustrate (per le quali la rivista ha collaborato con importarti artisti come Dalí o Andy Wharol) ma non era mai stato pubblicato un intero numero rinunciando a servizi fotografici.

Il magazine di gennaio è stato realizzato con la collaborazione di sette artisti internazionali, tra cui alcuni italiani, che hanno proposto altrettante copertine per un’edizione da collezione.

Gli illustratori scelti della rivista hanno fatto un passo indietro e, rinunciando a viaggiare, spedire e quindi inquinare, hanno collaborato con modelle e stylist per raccontare la moda in modo innovativo: senza fotografie. Le illustrazioni rispecchiano l’identità degli autori e appaiono molto diverse tra loro per colori, stile e tecniche utilizzate.

Il valore aggiunto di questo numero dedicato alla creatività e alla sostenibilità? Il denaro risparmiato per la realizzazione verrà devoluto alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia che negli ultimi mesi è stata gravemente danneggiata dall’acqua alta; un aiuto concreto ad un luogo di arte e cultura aperto ai giovani.

La scelta di non realizzare servizi fotografici non è l’unica innovazione per Vogue Italia: la plastica utilizzata per imballare le riviste da quest’anno è compostabile, perché anche la moda non può rinunciare al vero trend del futuro: la sostenibilità. E Vogue Italia raccoglie la sfida con un numero provocatorio e dalla forte valenza simbolica con cui dimostra che è possibile coniugare fashion e coscienza ambientale.

Farneti, con molta onestà intellettuale, afferma che “fare un giornale di moda ha un impatto ambientale significativo” ma continua “cambiare è difficile ma come possiamo chiedere agli altri di farlo se non mettiamo in discussione noi stessi?”.
Una domanda che probabilmente dovremmo porci più spesso.

Andrea La Gatta