EMANUELE FARNETI: DALL’EREDITÀ DI UN MITO AL RITORNO ALLA PAROLA

Con una precoce, lunga e variegata carriera alle spalle, che ha toccato tutte le facce della comunicazione – dall’ufficio stampa, alla televisione, per arrivare all’editoria –, con un background dalle texture (per rimanere in tema) multiformi e un percorso non saldamente ancorato al mondo fashion, arriva in cima alla piramide di ben 8 testate ed è oggi editor-in-chief di una delle riviste più importanti e cosmopolite d’Italia: il romano (solo per nascita) ma milanesissimo Emanuele Farneti a inizio 2017 ha raccolto il prezioso e delicato testimone tragicamente lasciatogli dall’intramontabile Franca Sozzani e sta dando prova di grande abilità. 

Lo abbiamo intervistato, cercando di capire come, dal suo punto di vista, sia cambiata la comunicazione della moda online e su carta stampata al giorno d’oggi.

  • Qual è il ruolo di un fashion editor nel 2019 e quanto versatile deve essere?

EF: Cambia molto da giornale a giornale: alcuni hanno la figura del fashion editor o del fashion director interno e hanno il vantaggio di avere una visione moda centralizzata… c’è qualcuno che decide che tipo di donna o di uomo raccontare, quali sono i fotografi più giusti per rappresentarla/o, gli stylist più giusti per vestirla/o, una figura che fa da perno perché la sua voce e il suo punto di vista sono quelli che caratterizzano il giornale. Nel nostro caso, per esempio, abbiamo scelto di non avere una figura di questo tipo perché pensiamo che “Vogue” Italia potrebbe essere una sorta di catalogo, di nazionale calcistica dei migliori talenti a livello internazionale. Quando decidiamo che in un numero vogliamo lavorare con un determinato stylist o fotografo, ci coordiniamo direttamente con loro per capire se condividono lo spirito del giornale e il concept della storia, ma vogliamo lasciare grande libertà creativa

  • La Sua formazione è decisamente atipica: come è arrivato a ricoprire il suo attuale ruolo e quali sono le skills che deve avere oggi il giornalista di moda?

EF: Ho studiato legge ma ho iniziato a lavorare già mentre facevo l’università… una delle cose di cui sono fiero, visto che ormai la professione era ben avviata, è non aver mollato, essere riuscito a laurearmi, studiando la sera. Per me è stato utilissimo iniziare a lavorare molto presto, ho cominciato forse a 19 anni, e quando i miei coetanei si sono affacciati al lavoro io avevo 4 anni di anticipo su di loro: è stato faticoso, però mi ha dato quel vantaggio competitivo che mi ha permesso di mettere un piede dentro a un mondo che iniziava pesantemente a chiudere le porte. Essere più giovani, in questo settore, è un vantaggio, soprattutto in un momento di trasformazione come questo… ci sono cose che io non guardo – e che se guardo non capisco – che invece i nuovi arrivati in redazione, della tua età più o meno, ci aiutano ad intercettare.

  • Come ha affrontato il passaggio di testimone da un’icona come Franca Sozzani, che ha rivoluzionato il giornalismo di moda con la sua poliedricità, e come è stato accolto?

EF: C’è stato un momento di shock iniziale, ovvio, un po’ a causa del lutto… mentirei se dicessi che all’inizio è stato semplice, c’era un clima di non abitudine al cambiamento, ho trovato un gruppo di lavoro nato, cresciuto e diventato grande sotto la guida di Franca che, anche fosse stata una figura meno carismatica, è stata la “mamma” professionale, loro unico punto di riferimento, e ci è voluto un po’ di tempo per prendere le misure. Poi hanno capito che non c’erano alternative, che il mio ingresso era una necessità, ma soprattutto che sarebbe stato portato il massimo rispetto a quella tradizione e che il mio modo per onorare la sua memoria e per fare quello che Franca avrebbe voluto sarebbe stato creare un giornale il più bello possibile. 

  • In che modo è cambiata la linea editoriale del magazine con il suo arrivo e cosa intravede per il futuro di “Vogue” Italia? Quali sono i punti di continuità e quelli di rottura con la precedente direzione? 

EF: Essendo un giornalista e un uomo più di parole che di immagini, ho cercato di fare in modo, per come mi era possibile, che il giornale non perdesse dal punto di vista visivo… questo si può fare se come direttore sei disposto a riconoscere le tue mancanze e a coinvolgere chi ne sa più di te: sono un regista che cerca di mettere gli attori nelle condizioni di recitare al meglio possibile la loro parte. Il tentativo è stato quindi quello da un lato di tutelare la parte che già esisteva del giornale, svecchiandola un po’ dal punto di vista dell’immaginario, e contemporaneamente aggiungere una parte di parole, di racconto – il mondo da cui vengo io – che può essere l’articolo un po’ più lungo, un lavoro di scrittura sulla moda, che prima non c’era, reintrodurre le interviste o fare dei podcast.

Dunque, in una fase in cui si è creduto che l’editoria stesse morendo, assistiamo invece a un importante ritorno alla parola, e anche il mondo della moda ce lo dimostra quotidianamente, con il fenomeno “meme“, nato dal talento creativo di alcuni digital artist che usano Instagram come loro privilegiata vetrina, o ancora con le parole impresse sugli abiti che hanno calcato le passerelle per numerose stagioni (vedi il progetto made in Prada con gli scrittori) e con tanti altri casi.

Ancora una volta la moda torna a stupirci con le sue mirabolanti capacità educative – e “Vogue” Italia ne costituisce l’emblema: oltre ad aver segnato la storia della fotografia con i suoi sorprendenti e innovativi editoriali, il magazine italiano funge da docente di arte & immagine (seppure di élite), utilizzando la tattica per nulla banale delle immagini impattanti e provocatorie, poi utilizzate in maniera istruttiva ed edificante

In un mondo in cui tutto è visibile e nulla più ci è celato, il giornale dalle pagine satinate che ha fatto sognare le bambine di tutto il mondo può essere colui che ci insegnerà davvero a guardare.

Marta Braga