Durante il festival #Glocal18, meeting sul giornalismo che si è tenuto a Varese dall’8 all’11 novembre, il giornalista Alberto Puliafito ha parlato delle modalità di marketing e delle tipologie di pubblicità in rete. La comunicazione nativa è una di queste: non si tratta di banner o fastidiosi pop-up, ma di contenuti editoriali sponsorizzati dalle aziende per promuovere il proprio prodotto/servizio.
La comunicazione nativa che cos’è e a cosa serve? Alberto Puliafito, giornalista e analista dei media, durante il festival Glocal ha parlato della realtà odierna sovraccaricata e caratterizzata da una sovrapposizione di contenuti, da cui il giornalista si deve difendere. Cambia dunque il suo modo di lavorare: si deve aprire a nuove piattaforme, che non significa affacciarsi al mondo digitale solamente attraverso il proprio sito web, ma anche attraverso i social network.

Chiunque oggi può scrivere e pubblicare contenuti. Per quanto possa sembrare un aspetto negativo, le piattaforme digitali hanno dato la possibilità alle testate giornalistiche di diffondere le proprie notizie a un numero pressoché infinito di lettori. “Ma attenzione – il monito di Puliafito – i numeri spesso non sono importanti, perché quello che conta è la qualità di questi numeri, ovvero chi realmente fruisce del contenuto”. Spesso, infatti, si dà troppa importanza alla quantità di contenuti editoriali prodotti, piuttosto che alla qualità. Ciò vale anche per la pubblicità online: attraverso la comunicazione nativa, si può pubblicizzare un prodotto attraverso veri e propri contenuti editoriali, articoli arricchiti di infografiche, video, modalità di scroll e di fruizione diverse e particolari. Si parla di una vera e propria comunicazione editoriale: questi contenuti non vengono realizzati dal singolo giornalista, ma da un team di specialisti, che intervengono per migliorare il modo di fruizione.

Principale caratteristica della cosiddetta native advertising non è ingannare, ma informare: si rivolge a un target ben preciso, a chi è interessato al contenuto e alle tematiche di cui l’articolo parla, mettendo quindi al centro le persone e non un prodotto da pubblicizzare. Inoltre è trasparente, perché lo sponsor dell’articolo viene sempre citato e mostrato.

Un esempio di pubblicità nativa è quella creata dalla testata The Washington Post sul proprio sito web: prima che uscisse il film The Post di Steven Spielberg, la home ospitava articoli inerenti allo scandalo che ha travolto gli USA durante la guerra del Vietnam.
