VIDEOGAMES E INCLUSIVITÀ, DENTRO I GIOCHI E AL DI FUORI

Venerdì 25 ottobre, terzo appuntamento del ciclo di incontri “Lo storytelling inclusivo”, i CIMERs sono stati catapultati nel mondo dei videogames, fatto non solo di belle colonne sonore e storie interessanti, ma anche di empatia, e caratterizzato da una spinta sempre più energica verso l’inclusività.

Le due ospiti, Lara Oliveti, fondatrice di Melazeta, e Marta Ascari, compositrice, hanno aperto un’interessante riflessione sulla macchina del gaming, un mercato dal valore crescente, sia dal punto di vista economico che quello valoriale, diventando un possibile veicolo di sensibilizzazione verso la diversità e l’inclusività.

La Oliveti ha illustrato come sollecitare leve psicologiche faccia proprio parte del game design: la previsione di un’alta interattività crea nei giocatori un coinvolgimento irraggiungibile attraverso altri media, come cinema ed editoria, che permette loro di calarsi nei panni del personaggio interpretato, vivendone la vita, e sviluppando una forte empatia nei confronti di alcune situazioni che la caratterizzano.

Basti pensare a come in Youth For Love, un gioco sviluppato da Melazeta, sia possibile sperimentare una situazione di violenza sia nei panni del “bullo”, che in quelli del “bullizzato”, ma anche in coloro che osservano, non intervenendo, e si rendono complici di tali episodi.

Le lezioni di vita che si possono trarre all’interno del gioco elettronico hanno la peculiarità di collocarsi all’interno di un ambiente protetto, senza i rischi che l’apprendimento dalla vita reale comporterebbe, con un conseguente potenziale di crescita etica della persona.

L’inclusività nel contesto videoludico è stata affrontata lungo due principali binari.

Primariamente, si è parlato del male gaze, che per anni (e ancora oggi) ha fortemente dominato la scrittura dei personaggi femminili, sessualizzandoli e non mancando di cadere in numerosi stereotipi. Il motivo risiede nel fatto che il target era identificato soprattutto come maschile, e dunque si cercava di accondiscendere un modo superfluo di vedere il “pianeta Venere”.

Fortunatamente, ci si sta muovendo nella promozione del female gaze, e dal 2018 sta aumentando il numero di protagoniste femminili (anche se siamo ancora soltanto intorno al 20%).

Inoltre, per quanto sia necessario, per motivi di budget, ricorrere ad un numero limitato di avatar, si sta puntando sempre di più ad una rappresentazione non-binary, che permetta un ulteriore livello di immedesimazione anche per coloro che non si identificano in “uomo” o “donna”.

E non si parla di inclusività solo nell’ambito del genere: passi avanti sono stati fatti nella creazione di videogiochi che permettessero anche a persone affette di disabilità di interagire senza difficoltà, e poter vivere la magia del flow (momento di forte coinvolgimento all’interno del gioco, al punto di “staccarsi” dalla realtà) anche senza poter vedere, o muoversi.

Secondariamente, è stato affrontato il tema dei professionisti coinvolti all’interno di questa macchina produttiva, e di come siano sempre stati prevalentemente di sesso maschile. Oggi, invece, sta aumentando la possibilità di emergenza di figure femminili, anche grazie alle opportunità offerte dalla creatività dal basso.

Loro stesse ci hanno mostrato come, in un team di 19 persone, solo 6 sono donne, ma la possibilità di rivestire moltissimi ruoli diversi, anche per chi non è propriamente del settore, apre numerose chance all’inclusività di genere.

Per quanto ancora non sia stato pienamente raggiunto questo obiettivo, la magmaticità del mondo videoludico fa presagire notevoli progressi, che possiamo già osservare sia all’interno dei videogiochi stessi, sia tra coloro che li hanno ideati, indizi di una sensibilizzazione sempre più marcata, che si spera possa diventare normalità, e non eccezione, in questo media, come in tutti gli altri.

Simona Gilardoni