GUARDA COME RAPPO (CON BARS)

Ormai le nuove promesse che appaiono ad un ritmo crescente sulla scena musicale globale sembrano poter emergere, virtualmente, da ogni dove. Internet e app di streaming, come banalmente YouTube, SoundCloud e Spotify, hanno fatto spazio a talenti che altrimenti non sarebbero mai riusciti a farsi notare dalle case discografiche, ma anche a chi, più semplicemente, non è disposto a piegarsi alla commerciabilità e riesce oggi a trovare le proprie nicchie online. Molti di questi artisti dell’era digitale appartengono a quella che, oggi, non è più una nicchia ma una comunità internazionale ben consolidata: quella dell’hip hop.

Si può, a ragione, parlare di una vera e propria comunità di pratica, ossia di “un gruppo di persone che condividono una preoccupazione o la passione per qualcosa che fanno e imparano a farlo meglio mano a mano che interagiscono con regolarità”. Chi si inserisce nella cultura hip hop lo fa con una certa reverenza nei confronti dei padri fondatori (Dj Kool Herc, Grand Master Flash, Afrika Bambaataa) che hanno portato l’hip hop dalle strade alle orecchie di tutto il mondo, lo fa (o perlomeno lo dovrebbe fare) con rispetto per la comunità e con l’intenzione di apprendere gradualmente da e con altri “artisti-membri”. Anche per questo molti artisti, estranei alla comunità e cultura di un genere come quello del rap, sono criticati nel momento in cui si appropriano di stili legati all’hip hop.

Da un lato, questo stesso mondo si sta aprendo sempre di più a categorie di persone che prima erano respinte ed escluse dalla comunità di pratiche (ad esempio le donne e, in particolare, quelle latine); dall’altro, come si è evidenziato, le barriere di accesso per la produzione musicale, con l’avvento di Internet e dei social network, si stanno sempre più abbassando. TikTok stessa è ormai diventata una rampa di lancio per artisti, tra cui molti afferenti alla scena rap, in cerca di una audience su cui testare nuove canzoni o per proporre nuovi beat, e Zuckerberg, dal canto suo, non vuole certo rimanere indietro.

Un gruppo interno di ricerca e sviluppo di Facebook, l’NPE Team, ha, infatti, da poco lanciato negli Stati Uniti l’app Bars, che permette a chiunque di creare e condividere le proprie rime sui beat che mette a disposizione. L’appeal dello strumento sta proprio nel fatto che non sia necessario essere esperti rapper per poter registrare un video gradevole e di media qualità: impostando la modalità “Beginner”, Bars consiglierà addirittura le rime all’utente che sta scrivendo la sua canzone. Un membro del team NPE (e rapper) ha reso noto che l’intento dell’app è proprio quello di aprire il mondo della musica rap a chiunque ne voglia far parte, abbattendo le barriere di costi che si impongono normalmente nel momento in cui un aspirante rapper dovrebbe accedere a studi di registrazione e apparecchiature di produzione costose.

Certo, per Facebook, Bars non è altro che l’ennesima proposta in beta per cercare di aprirsi a nuove audience e, in particolare, a quel target di Gen Z che vive la socialità principalmente su TikTok e che, coincidenza, consuma sempre più musica rap. Ciò che il lancio di app come questa implica, però, dal lato della comunità hip hop e della produzione musicale e artistica in generale è un segnale di cambiamento significativo. Se è vero che il progetto di Bars non è ancora andato in porto (e anzi potrebbe fallire miserabilmente come molte delle altre app che Facebook sta rilasciando ultimamente), ciò che essa testimonia è che all’idea dell’artista genio si sta, ormai, sostituendo quella di creatività diffusa, cui chiunque può prendere parte anche se, magari, con un piccolo aiutino tecnologico.

Giulia van den Winkel