Non tutto è bianco e non tutto è nero: potremmo riassumere così una delle serie più ammiccanti di Netflix, di quelle che ti fanno domandare se esista, in fondo, una parte giusta – o migliore – di cui prendere le parti, o se sia legittimo camminare al margine, tra una sfumatura e l’altra di una società continuamente in rivoluzione. Dear White People è, per questo e per svariati altri motivi, quel prodotto cinico e controverso che non potete continuare ad ignorare.
“Il paradosso dell’educazione è che mentre uno inizia a diventare consapevole, inizia a esaminare la società nella quale viene educato”.
Con questa citazione di James Arthur Baldwin, la serie ideata da Justin Simien dopo l’omonimo film del 2014 (con protagonista Tessa Thompson), si presenta agli utenti di Netflix nel 2017 per arrivare a confezionare, ad oggi, già tre stagioni. Servendosi del voice over di Giancarlo Esposito (Breaking Bad), con un’intonazione “etnica, ma rassicurante”, su cui gli autori contano “per spiegare ciò che a loro pesa troppo esporre in maniera tradizionale”, la serie esplora le dinamiche di una protesta che sembra quasi datata ma che di fatto non lo è del tutto o, quanto meno, non nelle accezioni che emergono lungo il suo corso.
Samantha “Sam” White (interpretata da Logan Browning) è una studentessa di Media Studies (vi dice qualcosa?) ambiziosa e spregiudicata, nella prestigiosa Winchester University, ateneo della Ivy League statunitense a prevalenza di studenti bianchi, ricchi e privilegiati. Samantha, però, è innanzitutto una rappresentante della comunità nera, decisa a minare a suon di documentari, podcast e live radiofonici il cuore bianco e orgoglioso del college insieme ai suoi amici e compagni, tutti rappresentanti della stessa minoranza. Tutti tranne uno, però, perché Gabe (John Patrick Amedori) è bianco ed assistente alla cattedra di Media Arts ma, soprattutto, è il ragazzo che Samantha è “costretta” a tenere segreto. Se la protesta è nell’aria, allora, cosa succede quando sogni e ambizioni che vorrebbero essere categorizzati si scontrano con una realtà sfumata che non ha – o non può avere – linee sufficienti per contenerli?
Dear White People – che prende il titolo dal programma radiofonico di Sam – cerca di indagare questa e altre complessità attraverso una struttura narrativa e stilistica unica, perfettamente funzionale tanto al racconto individuale dei protagonisti quanto al tono delle vicende e alla costruzione dell’intero contesto.
La serie si sviluppa, infatti, come un’antologia complessa in cui ogni episodio esplora un punto di vista diverso, permettendo ad ogni personaggio di mettere a fuoco di volta in volta un frame del racconto – personale e collettivo – che dovrà poi essere riletto alla luce dell’intera cornice. Se i singoli episodi possono in questo modo essere considerati capitoli che si muovono perlopiù in sinergia piuttosto che in orizzontale, ogni stagione scandisce invece un atto nuovo. Ad ognuna di queste, infatti, corrisponde uno stadio più profondo dell’indagine a cui siamo chiamati con le parole di Baldwin, scoprendo dapprima i personaggi nella loro singolarità e sfumandone poi i contorni attorno alle loro relazioni con l’ambiente circostante.
Se nel linguaggio i toni della satira pura si mescolano a quelli della commedia (e talvolta della soap), nell’aspetto visivo veniamo abbracciati dai colori vividi dei costumi– distintivi di ogni personaggio – e dagli interni moderati dell’ateneo che quasi collocano la storia fuori dal tempo. Il ritmo del racconto, ristretto e cadenzato, invece, è scandito da una colonna sonora varia e accuratamente selezionata: la serie trova il suo tono migliore nella musica classica – come La Gazza Ladra di Rossini nel suo incipit – a cui è affidata la platealità degli ideali, mentre i brani più vari dalla musica soul, raggae, pop e rap – come Ragbone di Childish Gambino, pseudonimo musicale dell’attore Donald Glover – sono chiamati a rinnovare l’intimità dei personaggi che altrimenti andrebbe perduta nella virtuosità della loro protesta.
Complice, quindi, la scrupolosità di ogni elemento che concorre alla sua esposizione, Dear White People è un racconto eponimo che affronta diverse tematiche e taboo a partire dalla lotta per l’inclusione razziale, spostando e ridefinendo continuamente il margine della caratterizzazione individuale e collettiva così come le possibilità espressive del mezzo narrativo. Ognuno di noi è Samantha ma è anche Gabe, siamo Lionel, Coco, Joelle. Siamo studenti, siamo timori ma soprattutto siamo aspettative nei confronti degli altri e di noi stessi, continuamente sotto pressione e costantemente provati per questo. Ognuno di noi, come i personaggi della serie, è una sfumatura in continua espansione verso un cambiamento intercettabile ma mai prevedibile. Senza permettermi nessuno spoiler vi invito solo a guardare questa bellissima “rivolta” e a prendervi parte.
Simona Riccio
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