Il 28 ottobre, la casa editrice Guanda ha pubblicato “Cercami” di André Aciman, l’attesissimo sequel di “Chiamami col tuo nome”, il romanzo del 2007 portato poi al cinema nel 2017 dal nostro Luca Guadagnino, vincendo addirittura un Oscar.
Era la fine del 2017 (o inizio del 2018, quando è finalmente arrivato nelle sale italiane) e sono sicuro che la maggior parte dei lettori di questo articolo è uscita dal tepore del cinema con gli occhi ancora lucidi: chi per l’effetto di mirroring nel personaggio di Elio, un adolescente alle prime prese con l’amore; chi per la figura di Oliver, ricordo di un amore estivo che prometteva molto, ma che è morto come le foglie all’arrivo dell’autunno; chi, infine, per la struggente colonna sonora di Sufjan Stevens.
Dopo l’inaspettato successo riscosso dal film a livello globale, le voci di un possibile sequel hanno iniziato a rincorrersi, ma sono rimaste nell’aria fino a quando, a inizio 2019, André Aciman ha ufficializzato l’uscita di “Find Me”. Sono stati molti a storcere il naso: la storia non era già adeguatamente conclusa? C’era davvero bisogno di ritornare sulle tracce di Elio ed Oliver?
Il romanzo si divide in tre parti ben definite, con vicende che si svolgono all’incirca 5, 10 e 15 anni dopo l’ultimo momento in cui avevamo lasciato i nostri protagonisti. La prima metà del libro è narrata in prima persona da Samuel – il padre di Elio – che racconta di come è possibile (ri)trovare l’amore anche nella seconda metà della propria vita, magari su un treno che porta a Roma. La seconda parte ci trasporta a Parigi, dove un ormai adulto Elio lavora come insegnante di pianoforte e scopre che la vita ha ancora molte emozioni da riservargli. L’ultima (breve) sezione si svolge intorno ad Oliver – marito, padre di due figli adolescenti e insegnante a New York.
Personalmente, ero molto contento di poter tornare a seguire Elio e Oliver nel loro percorso, ma purtroppo sono stato immensamente deluso. Si può tranquillamente affermare che questo nuovo capitolo sia un semplice caso di fan service. La scrittura di Aciman rimane elegante e scorrevole, ma la storia che tratteggia risulta immensamente meno toccante e coinvolgente di quello a cui ci ha abituati. Mentre nel romanzo del 2007 uno dei punti di forza erano i ragionamenti filosofici – talvolta acerbi – del giovane adolescente Elio, in questo nuovo lavoro quei ragionamenti diventano le battute che si scambiano i personaggi stessi. A voce. In situazioni improbabili. Insomma, effetto di straniamento garantito.
La narrazione, poi, è molto più veloce. In meno di 300 pagine, l’autore racconta tre storie infinitamente diverse tra loro, perdendo la calma e il livello di profondità che aveva fatto innamorare i suoi lettori. Una delle critiche mosse più frequentemente al libro (e al film soprattutto) era proprio la lentezza, infatti. Una lentezza confortante, però, che faceva entrare completamente nella mente confusa del diciassettenne e ci faceva conoscere i suoi ritmi, concedendo tempo sia a lui che a noi per metabolizzare le azioni confuse ed ambigue del suo amato.
Insomma, se volete sapere come finisce la storia di Elio ed Oliver – almeno nella mente un po’ offuscata del loro creatore – leggete le ultime 30/40 pagine del libro e avrete le risposte che cercate. Il romanzo in sé, invece, non merita una lettura. Se avete un buon ricordo legato a “Chiamami col tuo nome” vi consiglio di non rovinarlo con questo romanzo poco rispettoso della poeticità del primo capitolo, vi assicuro che ve ne pentireste. Io l’ho fatto.