La mostra personale di Teresa Margolles, curata da Diego Sileo, rimarrà al PAC di Milano fino al 10 giugno 2018. Non stiamo parlando di una semplice esposizione di lavori, ma di un racconto crudo, estremamente realistico della società contemporanea messicana: la mostra vuole essere un grido contro la violenza che, taciuta dall’omertà delle persone e dalle stesse forze dell’ordine, sta lacerando il Messico.
parliamo di Teresa Margolles
Capire chi è quest’artista ci dice tanto sui lavori che ha fatto e sulle motivazioni che l’hanno mossa. Teresa è un’artista messicana, originaria di Sinaloa e che vive a Ciudad Juàrez – luogo che ritorna spesso nel corso della mostra e che non è solo una città di frontiera, ma anche il luogo dove avvengono la maggior parte degli omicidi, delle sparizioni, delle violenze sulle donne, del traffico di droghe…
Teresa è un medico legale. Prima di intraprendere questa carriera faceva la fotografa e studiava Scienze politiche; poi, durante il suo percorso, si è sempre più interessata da una lato all’aspetto “legale” e forense riguardante gli omicidi, dall’altro all’anatomia dei corpi dilaniati.
Ha scelto di realizzare questa mostra per dare voce a tutte le ingiustizie e le “disumanizzazioni” delle persone umane che vedeva passare di giorno in giorno in obitorio. La sua è chiamata “Poetica del lutto” perché è estremamente cruda e crudele allo stesso tempo, aderente alla fisicità dei corpi così come lei li vedeva in obitorio.
La mostra e…il suo titolo
“Ora basta figli di puttana”: un linguaggio diretto che rispecchia il tono di cruda denuncia che caratterizza la mostra. Ma questo titolo non è casuale: era la frase scritta sul corpo decapitato di una donna di Tijuana – città di frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti – ed era un messaggio lanciato dagli assassini, da inquadrarsi probabilmente in una guerra tra clan, signori della droga.
La mostra si compone di 14 installazioni che, affrontando temi differenti, sono tutte unite dal tono di denuncia: denuncia delle violenze sottaciute, delle morti di persone anonime mai reclamate, dello stra-potere dei signori della droga e delle numerose morti dovute a regolamenti di conti…
Il linguaggio di Teresa è fortemente influenzato dalla sua esperienza negli obitori: da quando ha iniziato a vedere sempre più corpi dilaniati – non solo assassinati ma anche trucidati, torturati, decapitati – ha deciso che voleva dare voce a tutto questo attraverso l’arte. Molte delle installazioni presenti al PAC sono fatte con materiale che ha avuto un contatto diretto con l’ambiente degli obitori, e questo li rende terrificanti e allo stesso tempo estremamente affascinati per il potere di cruda realtà che portano con sè. Rappresentano un tentativo di partire dalla verità dei materiali e ridare la vita a chi l’ha persa ingiustamente e senza motivo. Teresa racconta storie personali di prostitute transessuali, storie di migranti scomparsi o morti prima di arrivare al confine, storie di centinaia di morti senza nome.
Perché?
L’unica domanda che non mi è mai uscita dalla testa per tutta la mostra è: perché? Perché le donne vengono violentate? Perché i corpi delle prostite transessuali, in Messico, non hanno gli stessi diritti di altri corpi? Perché il corpo di una persona uccisa viene usato come un pezzo di carta su cui scrivere un messaggio?
Tante e tante altre riflessioni affiorano alla mente nel percorso di questa mostra. Tante riflessioni su come le tragedie disumane fatte dall’umanità stessa esistono ancora come esistevano in passato. Continueranno in futuro? E per quanto?
Così Teresa ci fa riflettere e capire come l’omertà possa far male quanto un omicidio
L’omicidio riconosce una vita umana – pur volendola annientare – mentre l’omerta finge addirittura di non riconoscerla.