La pittura contemporanea che racconta il nostro mondo

L’arte figurativa non è morta. La pittura, oggi come allora, interpreta e racconta il tempo in cui vive.

È così che la Fondazione Stelline di Milano ha dedicato la mostra Le nuove frontiere della pittura all’arte figurativa contemporanea, in esposizione fino al 25 febbraio. Curata da Demetrio Paparoni, un famoso critico e curatore italiano, questa è la prima grande esposizione internazionale realizzata in Italia e totalmente incentrata sulle nuove tendenze della pittura figurativa.

Ospita 30 opere di 30 artisti provenienti da 17 Paesi diversi. L’obiettivo di questa mostra – e a mio parere perfettamente riuscito – è quello di dare uno sguardo sulla pittura contemporanea senza approfondire nessun artista in particolare, nessun Paese, nessuna corrente artistica: vuole creare un momento di riflessione sull’arte dei nostri giorni, che riesce ancora molto bene ad incarnare e comunicare lo spirito del nostro tempo non meno di altre forme espressive.

Per l’elenco completo degli artisti, clicca QUI.

Come ci parla questa pittura?

Le citazioni e i rimandi culturali sono molti, e vengono mischiati, svecchiati e riattualizzati in una chiave riflessiva. Gli artisti provenienti da varie parti del mondo fanno confluire nelle loro opere tradizioni e allusioni molto diverse tra loro: ci sono rimandi alla cultura o religione occidentale in dipinti di artisti orientali, e viceversa, a testimonianza di come l’umanità sia, in definitiva, sempre una e sempre uguale a se stessa.

Per esempio, Zhang Huan nel suo Flight (2007) tratta un tema storico-religioso (l’azione dell’esercito di liberazione nazionale in Cina) come riflessione profonda sull’indissolubile legame tra vita e morte compresa nella filosofia buddhista, nel sincretismo di buddhismo-taoismo e nel confucianesimo. Nel realizzare questo rinuncia al pennello e modella sulla tela altri materiali: polvere, cenere e frammenti neri grigi e bianchi provenienti da incensi. La parola “polvere”, infatti, porta in sé un legame profondo tra il mondo occidentale e quello orientale: nella religione cristiana simboleggia la caducità della vita umana, e il nostro mercoledì delle ceneri all’inizio della Quaresima simboleggia che dopo la morte c’è sempre una (ri)nascita. In cinese, “polvere” si traduce col carattere Hui, che rappresenta quello che rimane dell’oggetto sacro offerto come dono al tempio buddhista, e assurge a simbolo di speranza collettiva: è ciò che rimane delle preghiere dei fedeli.

La vocazione riflessiva della mostra si nota anche nel grande formato dei dipinti, che sembrano quasi volersi proporre al visitatore e imporre una riflessione; sembrano dire “Guardami, e pensaci”. Una riflessione non solo sull’arte dei nostri giorni ma anche e soprattutto sui nostri giorni, sul mondo che viviamo e sul futuro che stiamo costruendo.

La più suggestiva: Breakfast di Ronald Ventura (2017)

Un uomo strano, con dei tratti animaleschi, una tazza da colazione in mano, uno sguardo vacuo verso di noi, quasi sofferente. Il suo viso in primo piano è stato scomposto con forme di strutture moderniste, immagini e scheletri di animali; ha un cavallo sulla testa, forse un sogno o forse un incubo… Il dipinto è quasi tutto realizzato sulle tonalità del nero e del grigio, e sullo sfondo del soggetto c’è un cielo inquietante, come se stesse arrivando un terribile temporale o il giudizio universale.

Un dipinto molto affascinante e suggestivo, che evoca un’atmosfera da sogno – o meglio, da incubo – dando un senso di ansia, di malinconia, di precarietà dell’esistenza. Condizione che condivido appieno se penso al mondo contemporaneo, alla velocità dei cambiamenti che rischiano di sfuggirci di mano, all’indeterminatezza del futuro…

La più bella: The Panthers in my Blossoming Garden di Rafael Megall (2017)

Realizzata in acrilico su tela, l’opera rappresenta una pantera in un contesto di colori saturi e contrastanti che rimandano alla manipolazione digitale cui è stata sottoposta l’immagine in fase preparatoria. L’opera mi ha colpito molto a primo impatto sia per il soggetto – io adoro i felini, li trovo degli animali estremamente affascinanti – sia perché mi ha subito disorientato dal punto di vista ottico. L’artista ha ottenuto perfettamente l’effetto che voleva suscitarmi. Ad uno sguardo più approfondito, infatti, la pantera qui è anche metafora di una condizione di instabilità e paura: dietro questo dipinto c’è un’idea di sublime, che vuole farci riflettere su come dietro la bellezza della natura si nascondano sempre dei pericoli. Così la pantera, affascinante e pericolosa allo stesso tempo, assume una forma sinuosa, quasi come fosse un serpente, simbolo delle tentazioni dell’Eden.

Queste sono state le mie impressioni personali, ma suggerisco a tutti di andare a vedere questa mostra per scoprire di persona come la pittura contemporanea abbia ancora tanto da dirci.

Valeria Sali