SOCIAL MEDIA E VIRALITÀ. La brand awareness strategy di Unicef Italia

Il 4 aprile la classe CIMO della Prof.ssa Locatelli ha accolto Alberto Atzori, web content manager e social media manager di Unicef Italia, per parlare della forte attenzione ai social media da parte dell’ente.

Fornire assistenza umanitaria ai bambini e alle madri di tutto il mondo: è questa la missione di Unicef, il fondo delle Nazioni Unite istituito nel 1946 e che nel corso della sua esistenza ha vinto persino un premio Nobel alla Pace nel 1965. Unicef comunica sul digitale? Sì. In che modo lo fa, e con quali obiettivi? Alberto Atzori, il responsabile della comunicazione web e digital di Unicef Italia, è stato il secondo testimone del corso in Digital Communication management di CIMO e ci ha spiegato i motivi che hanno spinto un fondo dell’ONU ad aprire decine di pagine Facebook, profili Twitter e pagine Instagram.

Rendere Unicef riconoscibile

Alberto Atzori spiega che uno dei primi motivi che hanno spinto Unicef ad aprire canali digitali per la sua comunicazione è stato l’esigenza di rendere Unicef riconoscibile alle persone, agendo sulla brand recall (il processo spontaneo di evocazione di un brand) e sulla brand recognition (l’evocazione sollecitata di un brand). Avere un sito web e dei canali social offre a Unicef la possibilità di diffondere la propria immagine ma anche definire con precisione i campi di azione: spesso, ad esempio, le persone credono erroneamente che Unicef operi anche nel campo degli aborti e quindi Unicef ha elaborato specifici touchpoint digitali per rimarcare il fatto che non si occupa di aborti (una pagina di approfondimento nel proprio sito).

Accarezzare i sostenitori

L’immagine è tanto bella quanto delicata: la comunicazione di Unicef comprende anche la dimensione della riconoscenza ai suoi sostenitori. Pertanto, è molto facile trovare pubblicate sui social immagini di bambini e mamme e le loro storie di salvezza e progresso nelle condizioni di vita. Un modo per riconoscere l’impegno di chi dona a Unicef, spiega Atzori

Andare oltre al “like”

I social network sono certamente uno strumento potente per la diffusione dei contenuti e per la costruzione di significati con gli utenti. Tuttavia, Unicef si sostiene grazie alle donazioni e quindi uno degli obiettivi della sua presenza digitale è quello di tradurre i “like” e le visite sul sito in donazioni. Per fare questo, ricorre a tutti gli strumenti messi a disposizione dalle diverse piattaforme: i tasti personalizzabili dei social network (anche se, come lamenta Atzori, piattaforme come Facebook e Twitter potrebbero fare di più) e le pagine di donazione nei siti internet. La tempestività delle comunicazioni e la dimensione del real time tipica dei social consente di veicolare campagne di donazioni efficaci in tempo reale.

Tre case history

Alberto Atzori ha parlato di come Unicef ha gestito la comunicazione digitale in occasione del recente terremoto in Nepal. Il primo atto comunicativo è stato un tweet a un’ora dall’evento con cui Unicef dichiarava che stava seguendo con preoccupazione gli eventi. A questo ne sono seguiti sei nelle sei ore successive. In seguito, è stata aperta una pagina di donazioni dedicata e sono state avviate le procedure comunicative di protocollo che prevedono l’invio di email, l’attivazione di un numero verde specifico e una più strutturata azione di comunicazione. Questo ha portato a una raccolta di milioni di euro in 24 ore.

Gli altri due casi presentati da Atzori dimostrano il valore aggiunto dei social, la viralità, che si può scatenare anche in modo imprevedibile.

Per Unicef Italia il primo caso di viralità inattesa è dato da una foto postata su Facebook, scattata negli Stati Uniti nel 1937, relativa al polmone d’acciaio, macchinario in cui venivano inseriti i bambini affetti da una grave malattia respiratoria come la poliomielite. Dietro al post c’era l’esigenza di mostrare le conquiste ottenute con le vaccinazioni, grazie alle quali malattie di questo genere sono ormai scomparse. In poco tempo il post (link) ha ottenuto dagli utenti diversi feedback, positivi ma anche negativi, ad esempio da chi si pone in modo contrario ai vaccini. Unicef si occupa di promuovere campagne di vaccinazione nelle zone dove non esistono piani nazionali di vaccinazione o dove è complesso garantire le cure di base ai bambini. La scelta è stata comunque quella di rispondere ai commenti negativi evidenziando le prove scientifiche a favore delle campagne di vaccinazione. A sostenere il lavoro di Unicef Italia si sono mobilitati in modo spontaneo anche alcuni influencer, dando vita alla campagna #iovaccino. Miriam Maurantonio, blogger che si occupa di infanzia e anche fan della pagina Facebook di Unicef Italia, è intervenuta spontaneamente nel dibattito mettendoci la faccia e scattandosi un selfie mentre mostra il cartello #iovaccino . La campagna ha coinvolto anche, a cascata, medici, pediatri, infermieri, che hanno avuto l’entusiasmo di partecipare a questa campagna.

Il secondo caso di viralità involontaria è rappresentato dal gesto di una squadra di calcio greca che, nel gennaio 2016 prima dell’inizio di una partita, si è seduta a terra per due minuti per protestare contro le morti dei migranti in mare . La foto è stata ripresa da Unicef che ha ideato la campagna #tuttigiuperterra, in chiaro contrasto con le morti in mare, da interpretare come necessità di fermarsi per un istante dalle proprie attività quotidiane in segno di solidarietà. In Italia l’iniziativa ha coinvolto giornalisti sportivi, ma anche programmi nazionalpopolari (come Carlo Conti e i cantanti del Festival di Sanremo), scolaresche, quartieri urbani. Altre organizzazioni no-profit, come Save the Children, hanno poi deciso di seguire l’hashtag di Unicef, contribuendo ad aumentare la visibilità dell’iniziativa. Senza che Unicef l’avesse chiesto, inoltre, le persone hanno scelto di documentare l’adesione all’iniziativa pubblicando un selfie abbinato all’hashtag.

Hashtag Unicef

In entrambi i casi si è trattato di interventi spontanei, per i quali Unicef mai si sarebbe attesa un successo simile, anche dato il basso costo di investimento.

Quello di Unicef Italia è un esempio di come anche le organizzazioni no-profit possono avvalersi di strumenti di marketing digitale per aumentare la propria brand awareness e il flusso di donazioni. Unicef, in qualità di agenzia delle Nazioni Unite non avente diritto ai fondi pubblici, ha dovuto apprendere le lezioni del marketing umanitario, legato alle donazioni, che segue dinamiche analoghe a quelle del marketing tradizionale. Per tale motivo anche un’azienda no-profit come Unicef è attenta a digital professionals, come social media editor, social media manager, web content manager, digital marketer. A tutte queste figure è richiesta un’ottima capacità comunicativa in funzione, altresì, della gestione di eventuali critiche degli utenti, che, soprattutto negli ambienti social, rischiano di compromettere la brand reputation. Dunque un’opportunità di inserimento lavorativo sembra aprirsi, anche nel settore no-profit, per noi studenti CIMO.

Francesca De Leo e David Mammano