Vi siete mai chiesti come guadagnano i videogiochi? Una delle loro principali fonti di reddito è rappresentata dalle “loot box”: si tratta di scatole a premio che possono essere acquistate tramite pagamento o ricevute gratuitamente con i punti ottenuti durante il gioco, ma di cui il giocatore non conosce il contenuto. Avviene quindi una selezione casuale, detta “loot”, di oggetti virtuali che possono essere strumenti utilizzabili in-game (per migliorare l’esperienza di gioco) o elementi puramente estetici (ad esempio, per il miglioramento del proprio avatar).
Proprio questa “selezione casuale” ha fatto emergere numerose critiche nei confronti dell’uso delle loot box a pagamento nei videogiochi, che sono state associate al gioco d’azzardo. Il giocatore paga per qualcosa che non conosce e, di conseguenza, c’è il rischio che ciò che compra non gli serva e quindi potrebbe essere spinto a fare ulteriori acquisti per ottenere ciò che desidera. Si tratta, inoltre, di pagamenti esigui che non fanno percepire quanto si sta spendendo, ma che a lungo andare portano all’esborso di cifre consistenti.
Gli utenti che giocano a pagamento si dividono in tre diverse categorie: plancton, persone che spendono 1-2 dollari al mese; delfini, che spendono sui 5-20 dollari al mese e balene, che possono arrivare a centinaia o migliaia di dollari investiti al mese su un singolo videogioco. L’interrogativo è: chi sono queste balene? Imprenditori? Padri di famiglia? Minori?
Ma se si tratta di giochi d’azzardo, come vengono tutelati i giocatori minorenni? Questo tema ha scatenato diverse polemiche; la maggior parte di questi videogiochi contenenti loot box sono infatti giochi free-to-play, maggiormente scaricati dai giovanissimi. È quindi necessario attivare una salvaguardia verso questa fascia di utenti e molti paesi si stanno già muovendo in questa direzione.
Non sono pochi i genitori che hanno fatto causa a questo tipo di giochi per il loro carattere illusorio. Una delle più note aziende di gaming, Blizzard, ha ricevuto molteplici accuse riguardanti il videogioco Hearthstone, descritto come ingannevole soprattutto per i giovani. Si tratta di un gioco free-to-play di carte collezionabili, dedicato al mondo di Warcraft. L’accusa contro l’azienda è centrata sul fatto che quest’ultima non preveda tutele come il risarcimento o il parental control dietro i pagamenti effettuati dai minori, non consapevoli delle probabilità di vincita dei loro acquisti. Infatti, mentre gli adulti prendono le decisioni di acquisto in modo cosciente, un bambino non ha la percezione di come sta usando i propri soldi.
Purtroppo, i videogiochi che sfruttano questo modello di business sono sempre di più, proprio per la loro redditività alta. È quindi doveroso, da parte degli sviluppatori, prevedere sistemi di protezione per i minori, che occupano la percentuale più elevata di utenti che prendono parte a questo tipo di videogiochi.