«Vedere una persona in modo più umano rende naturale il pensiero che provi emozioni» – anche in ambito professionale. Così ci spiega Francesca Romana Puggelli, autrice del saggio Emozioni al lavoro.
L’opportunità di confrontarci con la professoressa Puggelli, docente di Psychology of Interactive Media al Master of Applied Psychology presso la University of Southern California, nasce dal sodalizio tra CIMO e Brandforum.it. Il suo libro, pubblicato lo scorso dicembre, apre uno squarcio fecondo sulla necessità, per manager e dipendenti, di imparare a gestire e a valorizzare la sfera emotiva nelle loro mansioni. Questo in tempi stravolti dalla pandemia, in cui le orme dell’incertezza tracciano per noi un percorso ambiguo. «Durante il covid – racconta l’autrice – mi è capitato spesso di riflettere su come le emozioni siano state sollecitate. D’altro canto, nel contesto professionale siamo a contatto con altri esseri umani per almeno otto ore al giorno: si tratta quindi di un’esperienza estremamente emozionale». Le emozioni costituiscono infatti una forma di comunicazione: da un lato, rivolte a noi stessi, ci permettono di comprendere come ci sentiamo di fronte a un evento; dall’altro, rivolte agli altri, rendono conto dei nostri interessi e delle nostre preferenze.
Il volume si presenta come un manuale pratico, agile, utile a tutti e ricco sia di test autovalutativi, sia di box di approfondimento: al lettore è offerta la possibilità di mettersi in gioco e proseguire in maniera non lineare, selezionando i capitoli più adeguati alle sue esigenze. Proprio l’aspetto ludico risulta fondamentale in ambito lavorativo: «Spesso si ricorre alla gamification: vengono utilizzati elementi come punteggio, regole, premi e competizione, in modo che gli individui svolgano attività lavorative divertendosi, e questo è un fattore di benessere che le aziende sfruttano. Ci sono infatti molti studi che evidenziano come, aumentando il coinvolgimento personale, aumenti anche la produttività aziendale».
Il coinvolgimento e la comprensione dei dipendenti sono ostacolati, sotto certi aspetti, dal lavoro a distanza, che ha inciso sui rapporti: risulta soprattutto limitata l’espressione del linguaggio non verbale, che costituisce «un veicolo di comunicazione spontaneo degli stati emotivi e supporta la comunicazione verbale. Possiamo porre rimedio alle lacune con accorgimenti che rendano la comunicazione da remoto il più possibile replica di quella in presenza. Una skill fondamentale è la consapevolezza sociale, ossia la capacità di leggere le emozioni altrui, che nel contesto lavorativo va potenziata: in particolare, si devono ricreare quelle conversazioni casual che avvengono incontrando i colleghi. Allo stesso tempo, il lavoro ha assunto un aspetto più autentico: abbiamo riscoperto il lato umano, entrando gli uni nelle case degli altri, e il confine tra vita personale e professionale è più labile. Questa autenticità va mantenuta anche quando torniamo in ufficio: rende le relazioni più profonde e l’ambiente più stimolante».
Con le difficoltà della pandemia aumenta anche la possibilità di incorrere nella dissonanza emotiva, con un notevole attrito tra il proprio stato emotivo e quanto richiesto dalle norme di contesto. «In qualunque relazione, dobbiamo gestire le nostre emozioni, senza negarle. Se ho delle giornate storte, devo circondarmi di persone felici ed evitare pensieri negativi. Anche di fronte agli insuccessi, devo cogliere gli aspetti positivi».
Come possono arginare l’ansia, invece, i giovani che cominciano la propria esperienza professionale da remoto? «Il mio consiglio è essere tolleranti con se stessi. Lavorare a distanza ha sicuramente alcuni svantaggi, ma le sfide sono situazioni che aiutano a crescere, in cui aumenta la resilienza contro stress e imprevisti, e ci sono anche vantaggi come maggiore flessibilità e possibilità di coltivare nuovi interessi. L’importante è accettare il cambiamento».