Esiste una precisa spiegazione al fenomeno della condivisione sui social? Il social sharing è legato solo ed esclusivamente ad aspetti tecnologici? La condivisione attraverso le piattaforme social è diventata una pratica del tutto spontanea per la maggior parte degli utenti del web. Spinti da un apparentemente inspiegabile bisogno di postare diversi momenti della vita quotidiana, non sempre riusciamo a distinguere ciò che è pubblico da ciò che è privato. Il nostro comportamento online, però, non è affatto casuale, bensì correlato alla nascita ed evoluzione del Web 2.0, anche detto Social Web o Web Sociale, ed è giustificabile facendo riferimento ad una delle più articolate tra le discipline: la psicologia.
Il Web in cui navighiamo oggi si fonda sull’interazione tra i vari utenti ed è radicalmente diverso dal suo predecessore, il Web 1.0. Quest’ultimo, in effetti, era da considerarsi uno strumento unidirezionale, poiché gli utenti non erano abilitati a commentare e fornire feedback ai contenuti pubblicati o a comunicare con le aziende. Il Web Sociale, che ha iniziato ad evolversi in una seconda fase, con l’avvento dei social media, è uno strumento del tutto opposto, che si fonda sulla partecipazione attiva di tutti gli utenti. Già il nome, 2.0, racchiude un’idea di interscambio e relazione: l’utente non solo visualizza una vasta quantità di informazioni, ma in prima persona può decidere cosa ricondividere con la sua community ed esprimere approvazione o disapprovazione rispetto a dei contenuti. Per le aziende il Web 2.0 rappresenta, quindi, un canale di comunicazione diretta con i possibili clienti.
Il concetto di social sharing, ovvero la condivisione reciproca di contenuti da parte degli utenti, è dunque comprensibile e applicabile solo nel contesto del Social Web. Al giorno d’oggi la condivisione è un fenomeno che riguarda quasi tutti, soprattutto a seguito della diffusione degli smartphone che hanno velocizzato e facilitato la comunicazione, permettendoci di rimanere aggiornati in tempo reale. Comprendere in cosa consiste il Social sharing è, quindi, abbastanza immediato; maggiore è, invece, lo sforzo da compiere per capirne i motivi reali.
Come precedentemente accennato, per giustificare il comportamento online degli utenti 2.0 occorre affidarci alla psicologia, più in particolare ad Abraham Maslow. Nel 1954, lo psicologo statunitense ideò la famosa Piramide dei Bisogni, ovvero una rappresentazione di tutte le fasi che un essere umano deve affrontare per raggiungere la propria realizzazione. Le fasi sono da superare seguendo un ordine preciso, progressivo, partendo dalla base della piramide, cioè dai bisogni cosiddetti fisiologici. A seguire, i bisogni di sicurezza, di appartenenza, di stima e di autorealizzazione. Le ultime tre fasi della piramide riguardano più da vicino la sfera emotiva e sociale e proprio per questo sono il punto di partenza per il fenomeno del social sharing.
Aprire un canale social, far parte di un gruppo Facebook o Whatsapp è il riflesso dei classici bisogni d’appartenenza, poiché condividere gli stessi interessi con una cerchia di utenti è un modo di sentirsi accettati ed integrati. Quando, invece, si condividono momenti più personali, l’obiettivo involontario è quello di essere apprezzati, ovvero di soddisfare il bisogno di stima da parte degli altri: quanti più like riceveremo ad un post, tanto più alta sarà la sicurezza in noi stessi. Molto spesso, poi, capita che i social siano utilizzati per comunicare ad amici o conoscenti alcune delle nostre scelte. Il giorno della laurea, ad esempio, pubblicheremo certamente una foto commemorativa. Si arriva così alla fase di autorealizzazione, che coincide con la condivisione sui social di tutti i traguardi che raggiungiamo quotidianamente.