Figura ingiustamente sottovalutata, pilastro del digital advertising: il Social Media Manager è forse l’emblema della GenZ?
Una venatura di sarcasmo, un sorriso sardonico sul volto dell’interlocutore nel pronunciare le tre parole. Che poi è la stessa espressione che fa capolino quando si parla delle doti imprenditoriali di Chiara Ferragni – come se, l’italiano medio, proprio non ne volesse di prendere seriamente le professioni digitali; due foto in posa, una caption accattivante, ci vorrà mica un Master in Cattolica?
Le grandi corporation e le multinazionali sono andate oltre queste ingenuità anni addietro: hanno visto lungo sul potenziale in termini di awareness e customer experience garantito da un presidio strategico delle piattaforme social. Il problema, ad oggi, sono soprattutto le PMI: non convinte di un effettivo ritorno in termini di redditività, rimangono diffidenti nei confronti del social media marketing, soprattutto quando non orientato alle performance (l’acquisto) ma alla brand equity. Trattandosi spesso di asset intangibili – immagine di marca, reputazione, conoscenza – le PMI non vedono nei social network un catalizzatore per il business; non potendo però sottrarsi al manifestare presenza online, delegano al “cugino di turno” il compito di pubblicare foto sfocate accompagnate da copy poco probabili.
Non sanno che, di fatto, con uno (o con una scuderia di) Social Media Manager:
- Targetizzerebbero l’audience in maniera ultra-specifica, customizzando i contenuti per massimizzare l’investimento. Potrebbero rintracciare gli indecisi, quelli che hanno bisogno di una rassicurazione in più ma sono già convinti dell’acquisto, con operazioni di retargeting massiccio. Tutte le tappe del processo d’acquisto online verrebbero presidiate in ottica strategica.
- Creerebbero awareness in primo luogo, ma, soprattutto, una narrazione credibile intorno al brand, elemento chiave per emergere rispetto alla concorrenza come top-of-mind.
- Monitorerebbero il pubblico, anticiperebbero trend e tendenze d’acquisto, per acquisire un vantaggio competitivo decisivo.
- Otterrebbero dati quali/quantitativi sulle performance registrate, il sentiment del mercato in generale e dei propri acquirenti nello specifico, per correggere le strategie di comunicazione in corso d’opera e non disperdere risorse.
- Riuscirebbero a creare una community e ad approfittare del passaparola, il primo mezzo pubblicitario per efficacia (ed anche l’unico gratuito). Individuare gli opinion leaders e concentrare su essi gli sforzi di marketing, mettendo in atto contemporaneamente attività di CRM e community management, non soltanto ottimizzerà l’investimento, ma permetterà di raggiungere gli individui più restii a fidarsi della comunicazione promozionale.
Un SMM non si limita a creare awareness: riesce nell’atto decisamente più complesso del tessere una narrativa davvero unica ed interessante; ciò è possibile, come per qualsiasi mestiere “tradizionale”, grazie a una conoscenza profonda del mezzo e a nozioni altamente specifiche – di quelle che ottieni con un Master.