La voce “videogioco” nel dizionario Treccani viene definita come segue: dispositivo elettronico che consente di giocare interagendo con le immagini di uno schermo. Già da poche semplici righe capiamo che un videogioco è qualcosa di dinamico e che soprattutto permette di interagire. Se la nostra epoca potesse essere definita mediante una parola, credo che la più corretta sarebbe “interazione” o, per usare un anglicismo, “engagement”.
Tutto ciò che cercano le imprese a fine di lucro oggi è creare interazione, perché solo mediante questo processo si potrà generare soddisfazione da parte del cliente e, se siamo stati davvero bravi, la sua conseguente fedeltà. Ma perché ci interessa così tanto avere dei clienti leali? Alla fine, il mare è pieno di pesci, morto un papa se ne fa un altro. No, non è affatto così. Avere clienti fedeli alla propria marca significa aumentarne il valore, e soprattutto avere ritorni solidi in termini di conto economico e di mercato: ciò significa che una base certa di clienti permette all’azienda di formulare in maniera precisa il proprio budget, di avere profitti maggiori, di vantare una quota di mercato più alta dei competitors. Significa, in poche parole, vincere.
È incredibile pensare che da una semplice definizione ci venga già detto così tanto. La parola che abbiamo visto definire il termine “videogioco”, interazione, (pre)annuncia la prossima tendenza del marketing su cui sempre più brand stanno puntando: l’in-game marketing, ovvero“the tactic of advertising something inside a game”.
I consumatori di oggi sono sempre più sfuggenti, infedeli, ma soprattutto esigenti. Non si accontentano più di avere un buon prodotto o servizio. Richiedono, o meglio, pretendono di avere un’esperienza, perché la loro scelta e tutto ciò che vi sta dietro, come costi di tempo ed energie, è ricaduta su di noi come “problem solver” dell’esigenza, del bisogno che necessitano di appagare. Per ripagarli, i brand devono remunerarli con qualcosa di nuovo, di bello, di esperienziale. E cosa c’è di più innovativo ed immersivo di un videogioco?
I videogiochi coprono un target estremamente ampio e variegato, e le quote rosa (almeno lì) sono rispettate: il 50% di gamers è donna. Ciò significa che basta scegliere il giusto videogioco per arrivare ai giusti clienti. Inoltre, un videogame ben strutturato è estremamente efficace in termini di impatto emotivo sul consumatore: è come entrare dentro una narrazione progettata ad hoc per lui. In esso, si identifica con i personaggi e le loro avventure, vive di loro e con loro, e non è difficile pensare l’effetto che l’inserimento di un prodotto a fine commerciale avrà sulle sue future scelte d’acquisto.
L’engagement tra brand e utente si rafforza in un’esperienza unica, andando a lavorare sui sentimenti di quest’ultimo nei confronti del primo. Ma guai a dire che si tratta di un’esperienza unicamente individuale: nel mondo del gaming sussiste un forte passaparola che stringe in maniera ancora più forte i rapporti commerciali. Non è un caso infatti che sempre più marchi stiano puntando verso questa frontiera per avvicinarsi ai clienti ed espandere i propri orizzonti. Anche il lusso, tradizionalmente distaccato dalle masse, si sta rendendo sempre più disponibile su questo tipo di piattaforme: Balenciaga ha svelato la propria collezione mediante un videogioco appositamente creato, Gucci è apparso disponibile con più collezioni per gli avatar di Animal Crossing e, guarda caso, anche per i “padroni” degli avatar stessi in una collezione reale, spingendo il consumatore verso un processo di gamification del proprio armadio.
Ma non solo brand. Credeteci o meno, Joe Biden, il neoeletto presidente degli Stati Uniti, conscio delle potenzialità della pubblicità all’interno dei videogiochi, ha svolto parte della sua campagna elettorale su Animal Crossing. Basta per convincervi che il gaming è la nuova frontiera del marketing?