Si può dire, senza ombra di dubbio, che la birra Corona abbia attraversato momenti migliori.
Possiamo aggiungere il caso “birra coronavirus” all’infinita lista di crisi psicotiche generate dal Covid-19.
La disinformazione legata al Coronavirus colpisce ancora e questa volta colpisce l’omonima birra Corona. Il caso rasenta l’assurdo, una storia ai limiti del grottesco che inizia sui social, come racconta l’Economist, tra febbraio e marzo; all’inizio della pandemia comparvero decine e decine di meme che associavano il temibile virus alla birra messicana. Quest’associazione ha dato adito alla simpatia e al black humor di migliaia e migliaia di utenti, da qui il disastro.
Questa pubblicità non richiesta ha causato concrete ricadute economiche sul brand, che è stato costretto ad interrompere la pubblicazione su Instagram di post promozionali dal 13 marzo, dal momento che sotto ai tranquilli e caldi paesaggi in località di vacanza gli utenti commentavano in
massa “Corona-virus”, “Stop killing people”, “Corona go away!”.
Solo pochi giorni fa il brand ha deciso di ricominciare a postare, sempre con molta cautela.
Che il virus e la birra non abbiano niente in comune se non, ahimè, il nome è praticamente ovvio per molti, anzi parlare del contrario scatena l’ilarità di chi ascolta; tuttavia, il sito YouGov ha registrato delle ricadute del brand che
dimostrano come la Corona sia rimasta vittima di questa sfortunata omonimia.
Quindi, nonostante tutto ciò possa sembrare assurdo, qualcuno deve averci creduto: su Google, le ricerche su “Coronavirus birra Corona” e “Coronavirus beer” si sono moltiplicate esponenzialmente dagli inizi di febbraio, tanto che il punteggio relativo al marchio Corona, secondo l’indagine del sito YouGov, è sceso da 75 a 51 punti in poche settimane.
I dati di questa analisi considerano soprattutto il mercato americano, infatti gli Stati Uniti sono un mercato importantissimo per la birra Corona, la terza più consumata dopo Guinness e Heineken.
Questo trend, che tiene conto delle informazioni positive e negative che circolano su un determinato brand, ha messo in allerta l’azienda che ha dovuto diramare una comunicazione ufficiale in cui assicurare l’assenza assoluta di un legame tra la birra messicana e il virus cinese.
Ma le perdite non si registrano solo a livello di vendite: la Constellation Brands Inc, ovvero l’azienda che produce la birra messicana in America, ha registrato una perdita dell’8% nella borsa di New York in questa settimana.
Queste ricadute si verificarono in concomitanza con la notizia imprecisa che alcuni giornali avevano riportato riguardo alle vendite della birra messicana Corona in Cina. I giornalisti avevano affermato che le vendite della Corona fossero crollate perché i cittadini cinesi la associavano al Covid-19.
La notizia, in realtà, non era completa, in quanto non sono state solo le vendite della Corona a crollare, bensì la crisi riguardava la vendita di birra e altri beni di consumo, una crisi causata dalle restrizioni imposte per contenere il contagio.
La Corona, però, sta veramente attraversando un momento complicato, persino nel suo paese. Il Messico non ha inserito i birrifici come beni essenziali, contrariamente a quanto hanno fatto la Francia con le aziende vinicole ad esempio, perciò i birrifici messicani hanno chiuso e al supermercato non si trovano più Corona, ma solo birre importate.
Strano a dirsi, ma un precedente storico c’è: Ayds, un brand degli anni ’80 che produceva caramelle dietetiche. Le sue vendite crollarono in seguito alla diffusione dell’AIDS, i proprietari decisero di cambiare il nome del brand, ma non fu una scelta vincente.
Sara Zawam