Digitale e cartaceo: due mondi nati in conflitto e cresciuti in sinergia. A 500 anni dalla rivoluzione di Gutenberg, il settore dell’editoria sta vivendo, proprio grazie al digitale, una disruption del proprio modello di business, superando le logiche tipicamente più tradizionali. Una parte del merito va ai Big Data, che hanno trasformato l’editoria in una scienza esatta, di cui il marketing manager è lo scienziato. Proprio di questa figura professionale ha parlato Davide Giansoldati, docente al master in Editoria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, nel suo intervento nella terza giornata di Tempo di Libri.
Fino a qualche anno fa si diceva “se non c’è su Google, non esiste”. Oggi, la stessa cosa vale per Amazon, il marketplace più famoso al mondo nonché vetrina dell’editoria globale. È questa la prima regola per ogni marketing manager digitale, che deve essere in grado di intercettare i trend del mercato e le keyword più ricercate dagli utenti in rete per fare in modo che un libro compaia tra i primi risultati di ricerca. Questa figura, che ragiona sempre più sui numeri e sempre meno con il cuore, assume i connotati di un moderno data analyst: è lo “scienziato” della casa editrice, in grado di studiare i Big Data per tracciare il profilo dei lettori e individuarne il comportamento in rete. Grazie alla sua conoscenza, questo “collezionatore seriale di informazioni” funge da fluidificatore tra i diversi dipartimenti, mettendo in contatto gli editor con le vendite e partecipando alla realizzazione grafica delle copertine.
Un altro compito del marketing manager digitale è fare scouting, e a questo scopo entrano in gioco i social network, che diventano parametro di valutazione di un potenziale nuovo autore. I follower, infatti, rappresentano oggi fonte certa di ricavi, dal momento che è possibile stimare esattamente il bacino di lettori e, dunque, di acquirenti del libro. È il caso degli Youtuber, che sempre più frequentemente occupano i primi posti delle classifiche editoriali, o delle autorità del web riconosciute per acclamazione popolare, come Salvatore Aranzulla, che ha saputo costruire un’audience attorno alla sua expertise e che ne ha fatto di recente un libro per Mondadori.
Da una parte, dunque, è innegabile il ruolo del digitale nel supportare l’editoria verso la costruzione di flussi di ricavo più stabili e sostenibili. Eppure, questo apre una questione ancora più profonda: è il dato, e non il talento, la vera valuta economica? Ai posteri l’ardua sentenza. Voi CIMERS cosa ne pensate?