Viviamo in un’epoca dove certe domande sono nascoste o forse facciamo solo finta di dimenticarle. Per dirla con le parole di Einstein: “La distinzione tra presente, passato e futuro è solo un’illusione ostinatamente persistente”.
DARK, la prima serie streaming tedesca finalmente ha aperto i cancelli del mondo oscuro con 10 episodi da togliere il fiato. La prima scena inzia con un suicidio, nel futuro. È il 2019, in una soffitta un uomo lascia una lettera appoggiata al suo piano di lavoro, sulla busta c’è scritto che non può essere aperta prima delle 22.13 del 4 novembre. Poi si impicca. Cosa succederà la sera del 4 novembre? E come può quell’uomo saperlo con tale precisione? Il 1953, il 1986 e il 2019, tre piani temporali diversi ma uguali, legati da una filosofia di fondo: “tutto è adesso”. Non c’è passato, presente e futuro, tutto il tempo è collegato come in una enorme galleria scavata da un lombrico, un wormhole.
Dark è la prima serie tedesca prodotta da Netflix, è disponibile da inizio dicembre in tutto il mondo e sta facendo discutere spettatori, filosofi e professori. Impossibile da riassumere in poche righe senza correre il rischio di rivelare spoiler decisivi.
Un po’ Stranger Things , un po’ IT (senza però, per fortuna, imitare nessuno dei due), la serie è un raffinato gioco d’incastri tra presente e passato che segue le storie di quattro famiglie in tre generazioni diverse. Le loro ferite, i loro rimpianti, i loro segreti, divengono il filo conduttore attraverso il quale scorre un elemento sovrannaturale spaventoso perché invisibile, eppure sempre presente. La storia abbastanza lineare diventa per lo spettatore un’ossessione. Non ci sono cattivi e buoni, ma personaggi “grigi” che sentiamo vivi, a cui ci affezioniamo ma senza un perchè. Tante domande ma poche risposte. Qual è il significato della nostra vita, del tempo che usiamo? Chi sono io? Le scelte che farò un domani possono condizionare chi sono io oggi? Esiste il libero arbitrio?
Tutto parte dalla regia: Baran bo Odar, esperto di filosofia moderna e contemporanea. E’ grazie a lui se il caotico e trapezistico intreccio narrativo riesce a trovare una sorta di pace dei sensi e forte dignità. Poi Ben Frost, musica elettronica minimal, è australiano e vive in Islanda. Un’orchestra magistrale in ogni scena. Infine il resto è in mano alla fotografia, Nikolaus Summerer, sublime, postmoderna, onirica, ascetica, che ci conduce oltre lo schermo.
Dal sound editing alla regia, dalla sceneggiatura ai costumi, se è vero che il diavolo è nei dettagli, Dark è uno show diabolico che vi rapirà, trasportandovi in luoghi oscuri, dentro e fuori l’animo umano. Io l’ho già visto due volte, tu cosa aspetti #CIMER?