In seguito all’intervista ai protagonisti della Compagnia Effetto Morgana, siamo andati a teatro a vedere lo spettacolo “Alfredino – L’Italia in fondo ad un pozzo“. Saranno riusciti a stupirci oppure avranno deluso le nostre aspettative? Non ci resta che scoprirlo!
Un buio totale inizialmente avvolge la sala: non è un buio che spaventa, è un buio che permette di vedere meglio la luce. Il continuo contrasto tra buio e luce è presente nella vita reale così come nello spettacolo. Tre sono le strade che sembrano viaggiare parallelamente: la vita di Alfredino, la vita del protagonista in scena e la vita di chi all’epoca cercò di stargli vicino sia fisicamente sia attraverso un tubo catodico. In realtà vedremo come ognuna si leghi inevitabilmente all’altra.
Sotto i riflettori il narratore racconta la storia così come l’abbiamo conosciuta ma non vengono riportati solo i fatti avvenuti, bensì un incontro tra due bambini. Il primo incontro tra Alfredino e Fabio Banfo (l’attore) avviene attraverso un’immagine del bambino e i suoi lamenti trasmessi sul televisore della nonna sorda di Fabio.
Eppure un filo sottile collega i due personaggi: la paura di rimanere in un pozzo profondo e pieno di fango si trasforma nella speranza per l’attore di poter raccontare al suo nuovo amico le bellezze della vita. Nasce tra loro un legame speciale che va oltre la semplice conoscenza reciproca. L’attore è riuscito a dare ad Alfredino qualcosa in più: egli non può essere ricordato solo per i suoi lamenti e le sue paure, ma è importante restituirgli almeno un po’ della spensieratezza e della felicità che ha potuto assaporare solo per poco. Ed è per questo che il narratore desidera condividere con lui i suoi pensieri più profondi e fargli vivere le esperienze più affascinanti attraverso un racconto divertente e coinvolgente.
Entrambi guardavano gli stessi cartoni animati (Ufo Robot e Mazinga) e poi correvano fuori in giardino per giocare a pallone al quale sarebbe seguito una gustosa merenda. Questi sono solo alcuni dei momenti che avrebbero potuto passare insieme. Poi il tono di voce cambia, diventa più malinconico. Il narratore vuole raccontare ad Alfredino quello che si è perso, quasi come se il bambino in prima persona potesse rivivere in quel momento: l’emozione del primo appuntamento, la timidezza, la tenerezza del primo bacio e la gioia che ne segue.
Tuttavia lo spettacolo non scivola mai nel sentimentalismo o nell’estrema drammaticità, ma riporta un’esperienza amplificata di una vicenda che non va ricordata solo per il suo triste epilogo. In questo senso la forte luce sull’attore vuole far comprendere allo spettatore che Vermicino non è un ricordo che appartiene al passato oscuro di quegli anni ma ancora oggi può toccare ciascuno di noi, anche chi non conosce la vicenda.
Questo sentimento di empatia con quel bambino dall’aria un po’ birichina è quello che hanno provato milioni di italiani incollati costantemente alla televisione. Ed è proprio la loro voce ad emergere dalla penombra del palco. La luce su ogni personaggio rimane
debole perché queste storie rimasero a lungo nascoste. Ognuno racconta la vicenda sotto diversi aspetti: il giornalista che scopre da un annuncio la caduta di Alfredino nel pozzo, due brigatisti, il presidente Pertini, il comandante Pastorelli, il capo dei Vigili del Fuoco Nando Broglio, gli speleologi, il contorsionista che riporta le soluzioni più paradossali per estrarre il bambino, il paninaro, il telecronista e un uomo comune che parla della vicenda al telefono. A tutti questi personaggi è stata data la possibilità di dire la loro ed è così che le loro vite sono involontariamente diventate un tutt’uno indissolubile con la vita di Alfredino.
Gli intrecci dei personaggi ben strutturati attraverso un gioco di luci ed ombre spettacolare e la scelta delle musiche azzeccata (dalle sigle dei cartoni animati e del Carosello ai suoni più comuni come lo squillo del telefono) rendono la rappresentazione teatrale realistica e allo stesso tempo personale. Viene a crearsi un’atmosfera intima dove nella mente ciascuno può aggiungere ricordi alla vita di Alfredino che non rimane più solo una foto ma diventa qualcosa di più.
L’armonia che coinvolge il pubblico rimane tale anche nella forte critica rivolta all’unico media di allora: la televisione. Essa ha ripreso tutto per filo e per segno: immagini del bambino, della madre, dei soccorritori, delle cariche istituzionali ma
sopratutto ha riportato le voci. Non solo i commenti sulla vicenda ma le grida, i pianti, i gemiti, i grugniti di un bambino che forse non sarebbero dovuti arrivare a noi. Prima di questa vicenda il limite non esisteva, si è sperimentato tutto ciò che poteva essere utile a riportare la vicenda nel modo più realistico. E quel microfono spento opportunamente appeso in aria sul soffitto del palco simboleggia proprio questo: a tutti è stato concesso di dire qualcosa, ma forse di fronte alle telecamere e oggi di fronte a tutti i media il silenzio è una forma di rispetto nei confronti del bambino e di tutti coloro che gli hanno voluto bene.
