I dati che tutti i giorni generiamo in rete raccontano la nostra storia; una storia che, però, è difficile leggere e che solo attraverso un approccio visuale, e quasi artistico, può essere capita a pieno.
Secondo un’antica leggenda orientale, gli dei hanno attaccato un filo rosso alla caviglia di ognuno di noi, collegando tutte le persone le cui vite sono destinate a toccarsi; il filo può allungarsi, può aggrovigliarsi, ma non si rompe mai. Le nostre scelte, i nostri atti di gentilezza e i nostri litigi influenzano inevitabilmente le nostre relazioni ridefinendo costantemente la persona che siamo e quella che sapremo diventare.
Forse è per questo che, da sempre, qualcosa dentro di noi ci spinge a voler tenere traccia dei legami che ci uniscono agli altri: un semplice “grazie”, un regalo, un ricordo, una fotografia. Piccoli indizi che, sommati tra loro, possono descrivere, con buona accuratezza, la nostra storia e parlare di noi.
Sono cambiate tante cose da quando, in Asia, si sentiva raccontare del filo rosso e, oggi, i modi in cui gli uomini possono entrare in contatto tra loro si sono moltiplicati grazie alla tecnologia, che ha spalancato le porte di ambienti digitali in cui ogni gesto compiuto in direzione dell’altro si chiama “(inter)azione”. Come in tutti gli altri contesti, anche in quello mediato, siamo soliti lasciare e conservare tracce della nostra socialità, dei nostri legami con le altre persone e della nostra identità in generale. Chiunque sappia leggere e interpretare queste tracce (i dati), è in grado di ricostruire parte del nostro vissuto o, più semplicemente, il nostro ruolo attivo all’interno di una sequenza di eventi che ci hanno coinvolto direttamente insieme ad altri individui “connessi” con noi.
Capire questo tipo di dati relativi al nostro modo di essere, agire e pensare, può risultare dunque utile non solo a chi si occupa di marketing e comunicazione, ma anche agli accademici e, perché no, ai semplici curiosi. Comprendere queste informazioni, però, non è sempre facile; ecco che, allora, l’”arte” del data-visualization diventa un alleato importante nel governare la complessità di fenomeni su larga scala e, soprattutto, nel favorirne la comunicazione. Le info-grafiche che abbiamo imparato ad amare, infatti, nascono proprio per questo motivo: illustrare un fenomeno in modo più semplice di quanto si sarebbe in grado di fare utilizzando parole e numeri.
Semplificare le informazioni è un’urgenza tipica del nostro tempo, caratterizzato da un information overload senza precedenti. Siti come Information Aesthetics, Information Is Beautiful e Flowind Data sono la prova di questa nuova e affascinante attenzione.
Il workshop di Social Network Analysis del professor Cantamesse, in un breve ciclo di quattro lezioni di cui abbiamo già parlato da queste parti, ha guidato gli studenti alla scoperta di un software come Gephi, pensato per l’analisi delle reti sociali e per la loro visualizzazione. I partecipanti sono stati messi in condizione di leggere in maniera critica le interazioni e le storie che si nascondono in esse.
Anche Blogmeter (autorità in fatto di analisi dei dati e ricerche di mercato in ambito digital) sembra muoversi in questo senso, come testimonia un tweet di Vincenzo Cosenza che usa la SNA e la data visualization per valutare le interazioni scatenate su Twitter, dalla morte del politico “pentastellato” Casaleggio.
In conclusione, non solo i CiMERS, ma anche i professionisti del settore, stanno cominciando a capire che in questi legami tra i nodi della rete, e quindi in quelli tra gli esseri umani, si nasconde una verità complessa e affascinante, che le analisi prima, e le discipline visuali poi, provano a rendere “arte”. La sfida è seguire il “fil rouge”. Tu hai trovato il bandolo della matassa?
CIMOreporter – Nicolò De Carolis