TRA GAMING E MEME: LA STORIA DELL’EX CIMER MONICA MAGNANI

Monica Magnani, 26 anni, originaria di un piccolo paesino vicino a Crema, ci racconta della sua esperienza a CIMO, piacevolmente conclusa con un riconoscimento al suo elaborato di tesi: un meritato terzo posto al contest IVIPRO.

  • Monica, raccontaci qualcosa del tuo percorso di studi prima di CIMO.

«Prima di CIMO ho studiato Scienze della comunicazione alla Statale di Milano. Il percorso mi ha lasciato moltissime conoscenze che non sono riuscita a riscontrare in altri miei colleghi di CIMO, che avevano intrapreso percorsi diversi. Non sto dicendo di avere di più, o avere di meno, semplicemente ci sono state delle competenze, magari anche solamente teoriche, che mi hanno aiutata davvero tanto in alcuni progetti che avevo in mente. Attenzione, parlo veramente solo per me stessa. Ricordo ad esempio di aver raggiunto quasi 50 CFU nell’ambito storico. Altri studenti invece, come ad esempio quelli di economia, non avevano alcun interesse in merito. Questo, nel portare avanti alcune delle mie passioni, mi ha permesso di adottare una prospettiva diversa, come invece uno studente di economia aveva una prospettiva totalmente diversa nel seguire un corso di marketing».

  • Quali sono le tue passioni?

«È un po’ complesso», ride.

«Sicuramente, i videogiochi. Sono infatti parte di un team di sviluppo di un videogioco. Tutte le competenze che hanno a che fare con il gaming raccolgono un po’ le mie passioni. Ad esempio, in questo team rivesto il ruolo di storyteller, oltre che ad occuparmi di una parte inerente al marketing. Mi piace poi illustrare, leggere e fruire di qualunque contenuto di intrattenimento. Tra le altre cose, faccio anche meme. Tutto il mondo digital e creativo è pane per i miei denti. Ad esempio, un mese fa è stata pubblicata la grafic novel per cui ho fatto da editor. Tutte queste piccole cose mantengono vive le mie passioni e sono felice di aver trovato il modo giusto per impiegarle».

  • Cosa ti ha spinto a scegliere un percorso magistrale in CIMO?

«Mi è sembrato più concreto di altri. Poi giustamente nel momento di valutazione e scelta ci sono molti elementi da tenere in considerazione, come il budget – che solitamente fa tanto, ed in questo caso bisogna avere un supporto da parte della famiglia oppure delle borse di studio – il tipo di materie e le modalità di gestione. Era stata proprio l’organizzazione di CIMO ad avermi incuriosita, in particolare la presenza di molti laboratori tra le lezioni teoriche. In triennale invece avevo seguito solo dei corsi teorici, inoltre ci tenevo a non fare la magistrale nella stessa università in cui avevo fatto la triennale, anche per avere un cv più variegato.»

  • Quale argomento hai affrontato nell’elaborato di tesi?

«La mia domanda di ricerca era: Gli indie game italiani riescono ad essere inclusivi e corretti dal punto di vista della rappresentazione come gli indie game stranieri?».

  • Che cosa sono gli indie game?

«Questa è una domanda difficile», ride. «Non sono giochi con confini stabiliti, sono quei giochi con determinate caratteristiche che a livello creativo, di finanziamenti o pubblicazione sono indipendenti».

  • Come mai ha scelto questo argomento?

«Oltre alla mia passione per il gaming in generale, mi sono appassionata di indie game per la loro posizione al di fuori dell’economia. Infatti l’economia creativa è costretta a dover rispettare dei budget, determinati standard e spesso si posiziona all’interno dell’opinione di persone che non hanno nulla a che fare con inclusività, non permettendo così la massima espressione.  L’indie game, invece, non è soggetto a questa serie di regole, è semplicemente guidato dalla passione delle persone. Volevo quindi vedere dove la passione creativa ci stesse portando.

I videogiochi sono infatti mezzi educativi, e dato che devono rispettare delle regole economiche, sono manovrati da altro. Poiché il videogioco è lo strumento più influente che abbiamo, mi sono detta: “studiamo questo”. Mi sono poi chiesta a che punto fossimo in Italia: all’estero, gli indie games sono molto più riconosciuti come strumento culturale e di emancipazione, vincono premi e così via.

La mia domanda sul “dove siamo” nasce anche dal fatto che manca un nucleo comunicazione tra tutti questi studi di sviluppo. L’Italia ha talenti e perle di videogiochi, con persone che studiano accuratamente l’argomento; tuttavia mancano il denaro e i nuclei di sviluppo, lo Stato inoltre preferisce porre attenzione ad altre arti, come il cinema. Il pubblico invece aiuta tanto, semplicemente anche solo i download di giochi per mobile stanno incrementando l’industria. Più il pubblico è ampio, più c’è domanda, più c’è necessità di inclusione».

  • Cos’è IVIPRO? Quali criteri di valutazione sono stati utilizzati? Come sei venuta a conoscenza di questo contest?

Sono venuta a conoscenza del concorso IVIPRO tramite il mio correlatore, Francesco Toniolo. Io stavo ancora scrivendo la tesi, ricordo infatti questo momento di disperazione. È stato lui a parlarmi di questo premio a livello nazionale, rivolto a tutte le tesi sul videogioco, per cui ci sarebbero stati dei premi. I finanziatori del progetto erano persone importanti nell’ambito videoludico, come l’associazione IIDEA che si occupa del monitoraggio nel settore e professori dell’Alma Mater di Bologna.

Inizialmente ho preso questo contest sotto gamba e mi sono detta “Perché dovrei vincere un premio?”. Poi ho pubblicato un estratto della mia tesi su una rivista pop; anche questo è stato difficoltoso, data la lunghezza della tesi, non è stato facile ridurla a mille parole. Però ci sono riuscita e questa pubblicazione mi ha dato la spinta per partecipare al concorso. Ho scritto le due pagine di Abstact richieste e a settembre è arrivata la notizia di un terzo posto. Ne sono stata veramente molto felice.

  • Dove hai svolto il tirocinio?

«Ho svolto il tirocinio nel grande momento di chiusura per il Covid, presso un’azienda che si occupa di design e architettura di lusso, per la durata di 3 mesi. Ho ricoperto davvero tutte le mansioni della comunicazione a 360°. Ho svolto tutta l’attività da casa, ma posso dire che mi abbiano “battezzata”. Sicuramente se non ci fosse stata la situazione Covid, sarebbe andata diversamente».

  • Di cosa ti occupi oggi?

Oggi, lavoro in un’agenzia di comunicazione, dove sono sia Editor, PR, Social Media Manager e Creator.  Alcuni dei clienti di cui si occupa la mia agenzia sono CISCO, Wizards of the Coast, Sky e altre realtà più piccole ed internazionali.

A livello personale invece sono un’illustratrice e, come detto precedentemente, faccio parte di un team di sviluppo.

  • Come sei entrata a far parte di questo team di sviluppo?

«Tramite la pagina di meme, che mi ha permesso di entrare in contatto con moltissime persone e, qualche volta, di ricevere offerte di lavoro. Mi ha anche dato la possibilità di partecipare a due meme contest a Roma. È stato difficilissimo spiegare ai miei genitori dove andassi e cosa stessi facendo», ride. «La pagina mi sta portando un sacco di conoscenze, tra cui Influencer. È qui che mi è capitata l’occasione di entrare in contatto con persone che cercavano qualcuno che desse una mano con questo videogioco. Ho deciso di buttarmi. Al momento ci stiamo occupando dei dialoghi e mi sto divertendo molto, anche perché in triennale ho studiato molto linguaggio, linguistica, semiotica e via dicendo».

  • Che consiglio daresti ai nuovi CIMERS?

«Oggi ho pensato molto a cosa rispondere ad una domanda del genere. Recentemente ho visto alcune notizie contrastanti, alcune che elogiano piccoli geni o giovani laureati che a 20 anni concludono la laurea in giurisprudenza, dall’altro lato vediamo invece ragazzi che soffrono e arrivano addirittura a togliersi la vita perché non riescono a terminare gli esami o gestire l’ansia. Il mio consiglio, quindi, è: se non state bene, non sottovalutate questa cosa. Non sono qui per dire “sono più brava, sono riuscita a vincere”, la mia è stata fortuna. Non è così per tutti. Quindi, se posso parlare a qualcuno dico: non siete soli e potete chiedere aiuto. Prima o poi finisce e, soprattutto, non siete obbligati a finirla.

Ci tenevo a dirlo e, secondo me, sarebbe importante parlare di queste tematiche in università».

È stata un’intervista molto piacevole e interessante, che mi ha permesso di conoscere un ex Cimer con un trascorso e delle passioni totalmente opposte alle mie. Dimostrazione di quanto il corso di laurea in CIMO sia davvero eterogeno e possa aprire moltissime porte differenti.

Ringraziando ancora Monica per l’intervista, vi lascio i suoi profili social se aveste piacere di conoscerla meglio.

Instagram: @Mollinca

LinkedIn: Monica Magnani

Elisa Rizzoli