Qual è stato il più grande proficuo innovativo e profittevole caso di self-branding della politica italiana?
La risposta non lascia spazio a dubbi di sorta: se il self-branding può essere anche, e spesso lo è, una strategia applicabile ad istituti quali l’azienda, la company ecc., nella misura in cui modella l’immagine di un organismo complesso, e se vi è un partito modellato ad immagine e somiglianza del proprio leader, allora possiamo definire La Bestia come la più importante operazione di self-branding che la campagna politica italiana è riuscita a realizzare nella propria storia. Navigando nel web e utilizzando come parole chiave termini tipo «self-branding», «brand-image», «strategic-branding», emergono molti risultati che nel momento in cui presentano al lettore casi concreti di quanto ricercato additano ad esempio il nome di Donald Trump: inciso questo che spero basti a rafforzare la convinzione di quanto esposto previamente sulla scorta delle arci note ‘affinità elettive’ che legano i due politici ed il loro bacino d’utenza.
Di fatto, La Bestia ha fatto le fortune politiche della Lega perché è riuscita a far convergere i flussi di feed incanalandoli nella direzione di pensiero del leader del Caroccio, sino ad annullarne il pensiero per creare uno spazio di manovra che intercetta i mal di pancia della rete di utenti e li riduce ad un minimo comune denominatore che riceve sistematicamente l’appoggio dello stesso Salvini. La Bestia è Salvini più di quanto non lo sia egli stesso: nel costruirne l’immagine ha finito per implementarne l’identità politica, che ha giocoforza semplificato, esteso e dilatato, rendendola ancor più accessibile.
Il successo di questa strategia di personal branding non è nuovo alla politica americana, come sottolineavamo in precedenza, ma ha rappresentato, e in realtà rappresenta, un unicum nel panorama italiano, che ha portato l’ex vice-premier ad essere il politico con il maggior numero di seguaci su Facebook, per dare una dimensione della portata dell’operazione.
E tuttavia anche il self-branding, come tutte le forme di comunicazione, deve guardarsi da una serie di rischi: il primo e probabilmente fatale colpo che la macchina salviniana ha subito è stato lo smascheramento del suo ideatore. Per logico che fosse— che dietro alla propaganda leghista non vi fosse Salvini in prima persona— scoprire la dissociazione tra persona soggetto e persona autore crea una prima crepa nella continuità esperienziale e di conseguenza nella community di seguaci; che poi sia avvenuto per questioni legate ad un presunto giro di spaccio non ha sicuramente giovato alla stessa. In secondo luogo, come diretta implicazione, una prima avvertenza d’incoerenza è una crepa che facilmente si espande incuneandosi nelle scanalature della pratica reale: se una volta la coerenza interna della strategia mediatica poteva affastellare le increspature delle contraddizioni in cui cadeva il leader, oggigiorno ogni indecisione, ogni ritrattazione, ogni scelta di posizione sbagliata vede le crepe ramificarsi ed ingrandirsi con effetto e rapidità ampliata, come testimonia il drastico calo di follower social registrato da inizio anno.
Giulio Montagner