The Lunch Date è un cortometraggio americano del 1989 di Adam Davidson, girato interamente in bianco e nero. In soli dieci minuti il filmato riesce a trasmettere un messaggio importante: non avere pregiudizi. Si tratta, infatti, di un video sui rapporti tra le persone che troppo spesso cadono nell’errore di fermarsi di fronte le apparenze.
Il corto inizia con un prologo ambientale, ovvero con un’inquadratura dall’alto della stazione Grand Central Terminal di New York, che raffigura la situazione di calma iniziale. Dal punto di vista narrativo la scelta della stazione non è casuale: questa rappresenta infatti un ‘’non luogo’’, essendo concepita come un posto di passaggio. Inoltre, ognuno di noi ha una sua visione della stazione, nonché emozioni personali a riguardo.
In ogni storia, il passaggio successivo al “dove” è il “chi”. Si passa quindi all’identificazione della protagonista: una donna di mezza età, ben vestita, che deve prendere un treno e cammina all’interno della stazione. Si nota che siamo di fronte un “Guerrilla style”: stile di ripresa clandestina senza permessi cinematografici. Da cosa lo capiamo? Dal fatto che molte persone guardano direttamente in camera.
Mentre la protagonista si muove all’interno della stazione vengono mostrati i primi “indizi”: notiamo, ad esempio, un’inquadratura su un homeless che cerca soldi all’interno delle macchinette per i biglietti del treno. Lo riconosciamo immediatamente in quanto rappresenta una figura archetipale, presente nella mente di ognuno di noi.
Ad un minuto esatto del corto avviene il primo contrasto: l’urto con un uomo fa rovesciare la borsa della signora; lui, nel frattempo, le ha già rubato il portafoglio (cosa che non viene mostrata durante l’atto ma che emergerà in seguito). Subito dopo, un secondo ‘’doppio’’ contrasto: la donna perde il treno e si accorge del furto subito.
Tornata all’interno della stazione controlla l’orario del prossimo treno e durante l’attesa si reca in una caffetteria. È qui che arriva il punto focale della narrazione: la protagonista si siede con la sua insalata e si rialza per prendere una forchetta. Tornando a quello che credeva essere il suo posto trova l’homeless che sta mangiando l’insalata. Fino a quando non capiamo che ha sbagliato tavolo, diamo per scontato che sia la sua insalata e che il barbone senza soldi gliel’abbia rubata. Inoltre, nell’immaginario collettivo, se lui avesse soldi non comprerebbe un’insalata: questo è il nodo centrale della narrazione che fa leva sui nostri preconcetti.
Arriva un punto di svolta: lei inizia a mangiare dallo stesso piatto dell’homeless; subito dopo un colpo di scena in cui lui le prende un caffè. Bevono il caffè, lei si accorge che è ora di andare e va. Essendosi resa conto di aver dimenticato i sacchetti, torna nella caffetteria. Qui tutti gli spettatori capiscono che lei ha sbagliato tavolo in quanto sacchetti e insalata erano nel separé accanto quello dell’homeless. Quando lei se ne accorge raccoglie le sue cose e va verso il suo destino a casa; prende il suo treno e l’inquadratura finale è inequivocabile: la chiusura della storia è data dall’allontanamento dei personaggi da quello che è il primo piano della scena…l’allontanarsi del treno dall’inquadratura ci fa capire che la storia è finita. Si tratta di un finale esaustivo completo, nel quale tutti i contrasti sono stati risolti e ogni cosa è spiegata.