STRANGER THINGS E I BRAND: IL FENOMENO DEL MARKETING NOSTALGIA

A partire dai primi anni 2000, con l’avvento della rivoluzione digitale, si sono verificati molteplici cambiamenti. Questi cambiamenti riguardano tutti i settori, compresi il settore dell’audiovisivo e della pubblicità: se un tempo bastavano grandi eventi in onda sulla televisione in chiaro ad attirare un vasto numero di spettatori, ora non è più così; ora gli spettatori sono diventati utenti e preferiscono i contenuti delle piattaforme streaming. Se una volta bastava uno spot televisivo a convincerci a comprare un prodotto, adesso gli spot vengono considerati come un’interruzione fastidiosa durante la visione di un contenuto e, anche nel mondo online, gli utenti non amano la pubblicità, tanto che risulta in crescita il fenomeno della cecità da banner.

Nello scenario contemporaneo, in cui l’offerta audiovisiva e di consumo è strettamente legata a queste trasformazioni, è necessario porsi delle domande. Come fare ad attirare l’attenzione di un pubblico sempre più frammentato? Come convincere un’audience che vale la pena guardare un contenuto? Come veicolare i “vecchi” messaggi pubblicitari attraverso le “nuove” piattaforme streaming? Come questi possono diventare funzionali alla narrazione? Per rispondere a questi nuovi bisogni è nata una nuova forma di convergenza, il branded entertainment: un contenuto di intrattenimento caratterizzato da una componente branded che accresce l’interesse del consumatore che, affezionandosi al prodotto audiovisivo, lo rende un lovemark, un simbolo che veicola emozioni e sensazioni associate al contenuto.

La logica del lovemark è applicabile a qualsiasi tipo di marchio, tanto che anche le piattaforme di streaming possono costruire un legame affettivo con l’utente. Netflix, uno dei colossi contemporanei dell’audiovisivo, è diventata un lovemark grazie alla produzione di contenuti originali immediatamente riconoscibili. I contenuti originali Netflix riscuotono successo, creano engagement e attirano una grande porzione di audience che, al tempo stesso, è il target preferito dagli inserzionisti. È perciò scontato ritrovare tanti brand nelle serie televisive originali Netflix, mentre la vera sorpresa è rappresentata dal fatto che, pur essendo una piattaforma che lascia spazio ai brand, Netflix si dichiara da sempre ad-free.

Tra tutte le serie Netflix, quella che più di tutte ha suscitato critiche per l’inserimento eccessivo dei prodotti, è Stranger Things. La serie di successo dei fratelli Duffer utilizza riferimenti alla geek culture e alla cultura pop per rappresentare sullo schermo gli anni ’80. La narrazione viene integrata da iconici brand dell’epoca, che in un secondo momento, attraverso logiche di reverse marketing, hanno esteso il legame con l’esperienza Stranger Things.

È perciò risultata sin da subito chiara la combinazione vincente: attirare un pubblico e mantenerne l’interesse. Per farlo, è necessario creare un legame emotivo con quest’ultimo: bisogna trovare il modo di suscitare emozioni e sensazioni nell’utente e instaurare un rapporto d’affezione duraturo nel tempo. Questo legame è in parte rappresentato dalla capacità di creare un lovemark funzionante e in parte dall’idea che, potendo creare contenuti per nicchie d’interesse, è possibile risvegliare determinati sentimenti nello spettatore, come succede con la nostalgia anni ’80 rappresentata da Stranger Things.

Il caso di Stranger Things è interessante perché, utilizzando nella narrazione i prodotti “originali” dell’epoca, fornisce allo spettatore una rappresentazione autentica degli anni ’80. Cosa succederà invece nella quarta stagione di Stranger Things? Dopo le numerose critiche, troveremo un numero minore di inserimenti pubblicitari o appariranno nuovi brand? Ci sarà una commistione ancora più stretta tra i prodotti e la narrazione? Potremo rispondere a queste domande solo dopo il 27 maggio, quando uscirà la quarta stagione della serie Netflix, preannunciata da Shawn Levy, il produttore esecutivo, come “molto più ambiziosa delle tre stagioni precedenti”.

Veronica Minardi