«Negli Stati Uniti vive il 5% della popolazione mondiale, ma anche il 25% dei detenuti del mondo».
Sono queste le prime parole di 13th Amendment, il documentario diretto da Ava DuVernay e prodotto da Netflix che descrive il rapporto tra il sistema penitenziario americano e il radicamento delle discriminazioni razziali.
Siamo nel dicembre del 1865, e il XIII emendamento della Costituzione degli Stati Uniti abolisce la schiavitù che è stata subìta dagli afroamericani per oltre un secolo prima dell’entrata in vigore di tale legge. C’è, però, una brevissima e fatale clausola prevista dall’emendamento: il divieto di imporre lavori forzati fa eccezione per i criminali.
Ora, la questione è tanto semplice quanto terrificante: i quattro milioni di schiavi neri che lavoravano per l’America dei padroni rappresentavano il fondamento di un sistema economico che garantiva una consistente manodopera gratuita. Così, i vari governi susseguitisi in USA hanno fatto in modo che più afroamericani possibile venissero sbattuti in carcere per fornire a un imbarazzante numero di aziende dei nuovi schiavi.
Il prison labor è difatti un ingranaggio dell’incredibile macchina delle prigioni private, che hanno inondato l’America da diversi decenni e che sostanzialmente prevedono che le carceri funzionino da fornitori – attraverso il lavoro dei detenuti – di attività di manifattura di qualsiasi tipo.
DuVernay analizza con grande scrupolo tutte le fasi di questo spietato processo, evidenziando come i diversi leader politici abbiano impiantato nel senso comune e nella legislatura una vera e propria corrispondenza tra nero e criminale, con una strategia retorica straordinariamente subdola, che ha travestito la segregazione razziale delle leggi Jim Crow prima da guerra alla criminalità e poi da guerra contro l’uso di droghe, e che ha fatto leva sulla paura dei cittadini in maniera spaventosamente efficace – peraltro non troppo diversamente da quello che tenta di fare qualche altro esponente un po’ più vicino rispetto all’oltreoceano, ma si sa, la storia si ripete continuamente.
Prendere coscienza di ciò che questo documentario descrive è urgentissimo; non perché si possa, una volta chiuso Netflix, rivoluzionare il sistema penitenziario statunitense dal proprio divano, ma perché sicuramente, oggi più che mai, alzare il volume della protesta aggiungendoci la propria voce può davvero fare la differenza.