LA POSTDEMOCRAZIA? NIENTE PAURA, È SOLO UN BUON ANALGESICO…

Filosofo tedesco di origini sudcoreane, Byung-chul Han da tempo si è imposto nel panorama filosofico internazionale come un attento osservatore della società neoliberista e delle sue patologie. Han ha pubblicato nel 2020, in piena pandemia, un breve saggio dal titolo La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite (Einaudi 2021), un’acuta riflessione, senz’altro stimolata dalla diffusione su scala mondiale del coronavirus, sull’algofobia, cioè sulla paura generalizzata del dolore e su come questo abbia conseguenze sulla nostra vita democratica.

Partiamo dal presupposto che la democrazia si nutre e vive attraverso il conflitto, lo scontro (sia pure ideologico e dialettico). Scontro e conflitto significano dolore, lotta per la difesa della propria argomentazione, confronto acceso con l’Altro, accettazione del negativo. Ma di fronte alla conseguente possibilità del dolore, all’insorgere dell’algofobia, scattano i meccanismi analgesici di difesa volti ad anestetizzare le nostre esistenze, a confinare l’esperienza del dolore in spazi sempre più ristretti, fino al suo totale annullamento.

Sul piano più specificamente politico (ma Han si sofferma, nel corso della trattazione, anche su quello estetico, economico ed etico), l’anestetizzazione della vita significa rinuncia alla discussione, alla lotta per le proprie opinioni, passiva accettazione delle logiche del sistema, che nel nostro tempo sono quelle del neoliberismo.

Quindi la “società senza dolore” produce una democrazia palliativa, una “postdemocrazia”, forma svuotata e – ossimoricamente – elitaria della democrazia. Infatti, i nazionalismi e i populismi con cui facciamo i conti negli ultimi anni anche nel cuore dell’Europa unita sono il prodotto, secondo Han, della paura di una politica delle riforme che, in quanto incisiva e trasformatrice, cioè conflittuale, fa paura. L’algofobia produce spoliticizzazione, crea un vuoto geopolitico che viene immediatamente riempito da forme di potere che sottomettono al pensiero unico: la rivoluzione si rovescia in depressione.

Anche i social hanno la loro parte di responsabilità nella costituzione di un mondo anestetizzato: si scrivono post su Facebook, si producono contenuti su Instagram per ottenere un like, per piacere e com-piacere; le nostre vite, così come le rappresentiamo sui social, devono essere instagrammabili, prive di asperità, piacevoli all’occhio; ma non basta, perché anche la politica si fa smart: l’uomo pubblico, nuovo demagogo, non si presenta come il “buon medico” auspicato da Platone, che somministra medicine amare per la cura della polis, ma come il “pasticcere” ben felice di essere al servizio dei desideri infantili del popolo anestetizzato.

Siamo di fronte ad un tradimento delle nostre radici, sembra dirci Han: sebbene figli della cultura greca, di un pensiero che costantemente rimarca la natura ontologicamente doppia e conflittuale del mondo e dell’uomo, ignoriamo il pàthei màthos di Eschilo, preferiamo dimenticare che lo spirito è dolore e vivere in un confortante e rassicurante dormiveglia.

Patrizia Celot