Le parole riflettono la situazione attuale, le sensazioni, i bisogni latenti ed evidenti di una popolazione, basta infatti dare un’occhiata alle nuove edizioni dei dizionari italiani per rendersi conto di come la pandemia abbia stravolto non solo la vita di ognuno di noi ma anche le parole per descriverla, introducendo numerosi termini.
Lockdown, DAD, distanziamento sociale, isolamento, quarantena, tampone, congiunto, contact tracking sono termini che ogni italiano ha dovuto imparare a conoscere durante quest’anno, ma anche termini più specifici come droplet o spillover. Per le principali pandemie sanitarie, l’effetto duraturo sul linguaggio è stato solitamente circoscritto all’introduzione del nome della malattia nel linguaggio comune, come è successo con i virus dell’HIV, con l’influenza spagnola, ma il coronavirus ha stravolto il copione e sembra influenzare il discorso pubblico ben oltre la semplice aggiunta di una nuova parola sul dizionario.
E se ci si chiede il perche di questa imponente innovazione lessicale la risposta è in realtà molto semplice! In soli tre mesi, il Covid-19 ha cambiato radicalmente il nostro modo di vivere. Ha chiuso alcune attività, ne ha trasformate altre, sospese alcune, ha costretto la popolazione mondiale a cambiare le proprie abitudini. Lo sbocciare di metafore, neologismi e innovazioni lessicali, degli ultimi mesi, indica di fatto una risposta immediata a tale cambiamento e un’interiorizzazione di questa nuova situazione.
Forse uno dei maggiori fattori a sostegno della diffusione della terminologia del coronavirus è il fatto che si è continuamente connessi digitalmente, in un modo in cui non lo si è mai stati. Accesso costante ai social media, ormai parte integrante della nostra vita, significa anche maggior potenziale di condivisione di termini, parole e in generale tematiche.
Un noto linguista, il Professor Serianni, in un’intervista spiega che «alcune delle parole della pandemia sono del tutto nuove, altre sono parole preesistenti, usate generalmente nel linguaggio specialistico degli scienziati e poi diventate di dominio generale, altre invece sono parole che si sono arricchite di significati nuovi, come “tampone”, “positivo”, “negativo”, “contagio”» .
Per quanto riguarda poi la tendenza ad usare parole derivanti dall’inglese, si è in linea con ciò che stava già avvenendo nella lingua italiana, da ormai molti anni, con la sola differenza che l’esposizione mediatica causata dalla pandemia mondiale ha accelerato e amplificato il fenomeno. Sono molti gli anglicismi trapiantati nella lingua dei giornali come la parola “lockdown” e, anche se meno ricorrenti, i termini “droplet”, “spike” e “spillover”.
Screening sostituisce termini come “monitorare”, “fare controlli a campione”. Tendenza o andamento sono state invece inglobate in trend di cui giornalisti e televisioni ormai abusano. Voucher, recovery fund, corona bond, hub, cluster, call, delivery sono poi solo alcuni altri esempi di questa proliferazione linguistica derivante dall’inglese.
Nuove parole, nuove modalità di utilizzo, nuove espressioni fanno da contraltare a questa nuova normalità. Il dizionario per stare al passo ha dovuto rinnovarsi (molto interessante il nuovo format di Treccani che ripercorre “le parole del Coronavirus”). L’introduzione e l’uso di questi termini rende le persone più consapevoli; la capacità di disegnare con le parole e il linguaggio i confini di questa pandemia sembra essere un antidoto potente contro l’inerzia e l’apatia che spesso questo incubo enorme fa provare a ciascuno.
Molto interessante l’iniziativa del professore Sergio Lubello dell’Università di Salerno, che ha fatto fare ai suoi undici studenti un’esercitazione intitolata “Il Lessico Della Pandemia” (vedi qui). Il compito da svolgere era quello di scegliere cinque parole a testa da commentare, tutte attinenti alla situazione attuale. Di questo esperimento il professore elenca i vari tipi di parole trovate: alcune di nota tradizione letteraria (untore), altre di uso comune e riadattate o risemantizzate (guanto, mascherina, ventilatore), anglicismi (eurobond, lockdown, smart working), tecnicismi medici (tampone, sintomo, anticorpi, pandemia, interstiziale). Aggiunge poi un “sempre confuso e ambiguo” lessico istituzionale e politico (congiunto, affetti stabili, abitazione, autocertificazione), varianti tecniche (focolaio), sigle e acronimi (covid, oms, mes), poi ancora le parole “marziane” degli ambienti formativi (dad, fad, call, webinar, Teams, Zoom), quelle degli affetti (isolamento, distanziamento), quelle della speranza (ripartenza, riapertura, calo della curva) e purtroppo quelle legate alla morte (urna, decesso, terapia intensiva).
Quando viene chiesto al professore di scegliere tra le nuove parole quale sia la sua preferita risponde “isolitudine”, perché rievoca «l’immagine solitaria dell’isola e il confine netto tracciato dal mare» e richiama «lembi deserti di spiagge da cui l’unica morte osservabile è per fortuna quella del sole al tramonto dietro la linea lontana dell’orizzonte».