IRENE FACHERIS: STORIA DI UNA FEMMINISTA NELL’ERA DIGITALE

Nel 2021 le donne si ritrovano incastrate in un costante purgatorio, divise tra ciò che vorrebbero essere e ciò che la società impone. In Italia, tra gennaio e marzo, si sono verificati ben 14 femminicidi e nelle televisioni generaliste imperversa una rappresentazione della figura femminile ormai rifiutata da tempo (come dimenticare il sexy tutorial per fare la spesa proposto da Detto fatto?). Chiari segnali di come sia necessario un cambio di mentalità e una maggiore consapevolezza in merito alla parità di genere. Irene Facheris, formatrice e divulgatrice, utilizza i social per rispondere ad un semplice quesito: perché dovremmo diventare tutti femministi?

Il termine ‘femminismo’ spesso viene utilizzato con un’accezione negativa: da dove nasce questo pregiudizio?

Bisogna partire da un presupposto: il femminismo prova a scardinare un’idea patriarcale e sessista di potere, non stupisce che i destinatari di questa critica provino a denigrarlo. Tutti vogliono restare in cima alla catena alimentare, per questo quando un movimento mette in luce un meccanismo distorto, se ne parla male. Ci sentiamo legittimati a dire la nostra opinione, anche quando siamo disinformati. Il femminismo rivolge una domanda agli uomini: vi rendete conto che il vostro privilegio è fonte di discriminazione per altre persone? Parliamo di un privilegio che ha conseguenze negative non solo per il sesso femminile, anche gli uomini rimangono incastrati in stereotipi di genere e sono costretti a reprimere alcuni lati della propria personalità. Questo dovrebbe portare ad avere molti più alleati quando si parla di sessismo, proprio perché colpisce anche quelle persone che al femminile si avvicinano (senza collegarsi automaticamente alla comunità LGBTQ+), eppure non c’è coesione.

I media generalisti hanno fatto parecchi strafalcioni (il falso stupro nella serie televisiva ‘Le indagini di Lolita Lobosco’ ne è un esempio): da cosa dipendono tutte queste gaffes?

Chi c’è al tavolo a prendere le decisioni per i programmi? Non basta avere donne nel proprio team, perché in una società maschilista cresci maschilista, servono donne femministe. Chi ha il potere, questo vale per ambo i sessi, non vuole mollare l’osso e lasciare il posto a figure più competenti. Siamo nella quarta ondata del femminismo, eppure sentiamo in televisione discorsi che sarebbero andati bene cinquant’anni fa, come il monologo di Barbara Palombelli a Sanremo.

Irene, tu hai scelto di utilizzare come strumento di divulgazione Instagram. Molte volte chi si appoggia ai social viene delegittimato, considerato di poca sostanza. Come rispondi alle critiche?

Io sono una formatrice, non sono un’instagrammer, quindi uso Instagram come mezzo per divulgare. I social sono uno strumento utile, ma è necessario avere delle competenze su un tema, non puoi improvvisare. Il mio obiettivo è far ragionare le persone sulla parità di genere e credo sia fondamentale concentrarsi su più canali comunicativi. Inoltre, non tutte le persone sui social sono automaticamente influencer. Questo lo dico senza snobismo, perché queste piattaforme sono un mondo prettamente femminile, un luogo creato per riuscire ad avere uno stipendio poco garantito nel mondo lavorativo offline.

Il web è un luogo di grande condivisione, ma anche di forte esposizione, proprio per questo è facile incappare negli haters. Come vivi e gestisci gli insulti sui social?

Onestamente? Molto male. A causa della pandemia e dei continui lockdown, l’odio si è quintuplicato e la gente è molto più frustrata. Vivo questa situazione come una forte ingiustizia, perché credo di fare del bene online e gli insulti che ricevo sono la risposta di chi non è pronto a decostruire certe abitudini. Non riesco a farmi scivolare tutto addosso, perché quando qualcuno muove una critica (anche offensiva) nei miei confronti, la mia prima reazione è di mettermi in discussione.

Molto spesso è facile anche ricevere commenti fuori luogo o sessisti, immagino.

Si, mi hanno augurato di essere stuprata. Accade quando persone con molto seguito parlano male del femminismo o di me e questo legittima i più giovani a fare lo stesso nei miei dm. I loro idoli pensano per loro. Ti dico una cosa: non apro più nemmeno i direct, per me è un trigger troppo forte e non posso permettermelo a livello di salute mentale. Stare dietro ad uno schermo toglie la vergogna e l’empatia, le persone si sentono deresponsabilizzate.

Gli anni passano, ma gli stereotipi di genere restano: come istruire le nuove generazioni?

Innanzitutto, bisognerebbe pensare all’istruzione: temi come la parità di genere andrebbero affrontati fin da subito con i più piccoli, ma molti docenti non sono pronti a trattare questi argomenti. In Italia ci sono tanti femminicidi proprio perché non parliamo di affettività e rispetto ai bambini, cresciamo adulti impreparati a gestire le frustrazioni e le pressioni sociali che sentono rispetto al proprio genere. Se inserissimo gli Studi di Genere come materia, spiegata da figure competenti (che esistono e sarebbero pronte a lavorare), risolveremmo buona parte dei problemi nella nostra società.

Serena Curci