Una vita virtuale, che si popola di avatar e immagini olografiche, è tipica dei giochi online, dei più avanzati sistemi web, delle piattaforme multiforme di intelligenza artificiale. È lontana, quindi, dalla quotidianità e dalla vita reale, che di certo corre sui binari di una progressiva accelerazione tecnologica ma che non sembra ancora capace di interagire con gli ologrammi, che per tutti, o quasi, rimangono misteriose ed enigmatiche illusioni ottiche.
Inventata nel secolo scorso da Dennis Gabor, vincitore nel 1971 del premio Nobel per la fisica, l’olografia è un procedimento che realizza immagini tridimensionali (di personaggi, ambienti e qualunque altro elemento reale) senza che per vederli ci sia bisogno di un apposito visore: le immagini in 3D sono davanti a noi, senza materia ma pura illusione ottica.
Ed è così che possiamo assistere a uno spettacolo circense senza che siano sfruttati animali esotici o domestici, perché le loro immagini olografiche si muovono davanti a noi con la medesima grinta, grazia o ferocia di quelli in carne e ossa. Non mancherà occasione di ascoltare concerti con ologrammi degli artisti sul palco davanti ai nostri occhi. E ancora, potremo riportare in vita attori e cantanti deceduti: gli hologram tour sono ormai già una realtà dell’industria dello spettacolo.
Chiara, quindi, la potenzialità dell’utilizzo della tecnica olografica nell’industria dell’entertainment, a livello di spettacolarizzazione e di incremento degli introiti. Ma l’utilizzo degli ologrammi ormai supera il perimetro delineato dall’industria dell’intrattenimento per approdare a mondi che sembrano davvero lontani dal virtuale e dalle immagini in 3D.
Partecipare a call di lavoro con colleghi in forma di ologrammi: ecco la possibilità oggi offerta da Microsoft con la tecnologia Mesh, già disponibile per HoloLens 2, i visori di realtà aumentata del colosso americano ma a breve potrà essere utilizzata anche da altri dispositivi di realtà virtuale e anche da smartphone iOS e Android, tablet e computer. Si aprono scenari mai finora neanche immaginati: dare vita a nuove forme di comunicazione e interazioni relazionali.
Creare una realtà mista, dove la fisicità interagisce con il virtuale, significa permettere a chiunque di avere la sensazione fisica della presenza dell’altro anche quando “l’altro” è in un continente lontano o solo nella stanza a fianco: lo scopo è quello di realizzare nuove forme di comunicazione, personali e professionali, per rispondere alle restrizioni della pandemia e all’espansione dello smart working.
Dalla comunicazione al campo medico il passo è breve e anche più affascinante e misterioso.
Non solo immagini di organi in 3D, tac tridimensionali, ma addirittura la chirurgia è il nuovo campo d’azione della realtà virtuale e olografica: sempre Microsoft ha organizzato una 24 ore internazionale di Chirurgia Olografica in cui 13 operazioni ortopediche sono state realizzate da chirurghi che hanno mostrato il proprio campo visivo ai colleghi sparsi in ogni continente, condividendo best practice e interagendo con immagini anatomiche dei pazienti sotto forma di ologramma.
La realtà mista, permettendo una fusione tra mondo fisico e mondo digitale, crea nuove interazioni tra uomo, computer e ambiente anche in campo medico: in futuro si potrà lavorare a uno stesso tavolo chirurgico anche se si è in due continenti diversi, chiedere un consulto a uno specialista durante un’operazione, aprire finestre su più sale operatorie o in più ambulatori medici.
Il futuro è ormai presente. E allora forse è il momento di una riflessione di carattere etico sull’utilizzo dilagante del digitale, sulla sua deriva olistica e sul suo essere troppe volte la panacea di tutti i mali: occorre tenere sempre a mente che tecnologia e umano è un binomio da non dover mai scindere.
Patrizia Celot