Parlare di inclusività o inclusione è diventata oggi una prassi. Includere non significa altro che estendere a quanti più soggetti possibili il godimento di un diritto o la partecipazione ad un sistema o attività. Si parla di inclusione in ambito scolastico, di inclusione sociale, di inclusione in ambito lavorativo…La verità è che parlarne così tanto non si traduce poi in una sua concreta realizzazione. Anzi, forse doverne continuamente discutere è sinonimo del fatto che ancora nella nostra quotidianità questo principio non sia stato completamente assimilato e che non tutti siano meritatamente ed egualmente valorizzati.
Negli ultimi anni la lotta all’inclusività e alla valorizzazione delle differenze sta diventando sempre più popolare, fortemente (e fortunatamente) sempre più diffusa, e chi opera nel campo del marketing e della pubblicità non può non prenderne atto. Recentemente brand molto famosi come Gucci, Micheal Kors, Nike, Mac Cosmetics hanno realizzato campagne e spot che avevano come protagonisti dei soggetti sicuramente “anti convenzionali”, variatamente assortiti, culturalmente differenti, che non avremmo mai incontrato nelle pubblicità di una decina di anni fa.
L’inclusive marketing, come l’inclusive advertising, stanno a poco a poco rimpiazzando le pubblicità stereotipate del passato, spesso sessiste o razziste, promuovendo l’idea di diversity come qualcosa da valorizzare e non da nascondere. Inclusive marketing sta a significare la creazione di contenuti che riflettano effettivamente la varietà delle persone con cui le aziende si interfacciano. La volontà ultima è quella di dare risalto a diverse voci, a diversi modelli, a diverse storie in egual modo, cercando di esaltare ognuno.
Forse qualcuno si starà chiedendo: perché un brand, giustamente interessato soprattutto al guadagno, si dovrebbe occupare di inclusività? Secondo alcune ricerche condotte nel nostro Paese sembrerebbe che i marchi attenti non solo al profitto ma anche al progresso, che valorizzano la diversità, guadagnino di più e che gli italiani preferiscano “marchi inclusivi”. In quest’ottica, l’azienda tedesca di cosmesi Nivea, che opera a livello globale ormai da anni, ha appena lanciato una nuova Limited Edition, la “Tatoo Limited Edition”. É vero che, per la stragrande maggioranza delle persone (soprattutto giovani), avere un tatuaggio è oggigiorno consuetudine, ma è altrettanto vero che non è ancora finita l’epoca del giudizio inconsulto, degli sguardi indiscreti che si posano sui corpi colorati. Che si amino o si odino, per molti i tatuaggi sono un modo di raccontare sé stessi, di raccontare la propria vita. Ecco allora che Nivea sceglie di realizzare una collezione più “inclusiva e contemporanea” facendo disegnare il packaging della Nivea Creme a tre tatuartici internazionali: Lucille, Roza e La Dolores. Le tre hanno rappresentato, sulla tradizionale scatola in latta della crema, le loro idee di amicizia, amore, bellezza, con la volontà di lanciare, attraverso le loro opere, “un messaggio positivo di inclusione”.
La nuova collezione Nivea è dunque un fantastico esempio di come la comunicazione, se ben utilizzata, possa essere uno splendido mezzo per favorire inclusività e apprezzare la soggettività.
Sofia Contini