Il cambiamento paradigmatico a cui molti settori sono stati sottoposti ha richiesto a tutti di mettersi in gioco e nel caso del mondo della moda di mettersi a giocare. In un momento in cui la normale customer experience è stata radicalmente cambiata dall’impossibilità di accedere ai negozi e l’innovazione tecnologica procede con una velocità vorticosa, l’industria della moda, che si ritrova a dover operare in mercati diversi che assumono comportamenti altrettanto diversi per gestire la pandemia, ha dovuto trovare nuovi modi di coinvolgere i consumatori, espandendosi in aree sempre più variegate.
L’idea di usare i videogame non è una novità. Infatti, nel 2019, Jeremy Scott aveva realizzato con Moschino un’estensione di The Sims 4 con skins per gli avatar presentati nell’ultima sfilata; anche Virgil Abloh, che si è definito cresciuto a pane e Nintendo, nello stesso anno ha lanciato con Louis Vuitton Endless Runner, e siglato una partnership con Riot Games per il campionato mondiale di League of Legends. L’obiettivo comune dei brand, sperimentando con questo medium, era e resta tutt’oggi quello di sedimentare o creare nuove relazioni con le generazioni più giovani, in particolare i Millennials e la Generazione Z.
Considerato che una recente ricerca portata avanti da Boston Consulting Group (BCG), in collaborazione con Altagamma, ha dimostrato che entro il 2025 fino a il 60% della clientela del lusso sarà Millennial e che una crescita esponenziale è attesa per i consumi della Generazione Z, diventa quindi ovvia la scelta dei marchi di moda di muoversi sempre più verso strategie volte ad attirare i più giovani, e i videogiochi sembrerebbero essere lo strumento più adatto.
Tra gli obiettivi perseguibili ci sono:
FARE STORYTELLING
Attraverso giochi, quiz e raccolte punti si cerca di sviluppare una nuova narrazione del marchio (come il caso del videogioco Afterworld. The age of Tomorrow di Balenciaga).
VENDERE PRODOTTI NUOVI ED ESCLUSIVI
Gucci, dopo aver sperimentato la ludicizzazione tramite Gucci Arcade, la partnership con Drest (styling app che conta tra i suoi clienti anche Valentino, Stella McCartney e Prada) e poi con Tennis Clash, ha realizzato dei videogiochi dove gli avatar indossavano veri outfit della casa di moda, offrendo l’opportunità ai giocatori di passare dal set up dell’avatar allo shop online sul sito. Inoltre, in occasione del festival virtuale Complexland, è apparso l’avatar di Donatella Versace e sono state messe in vendita, nell’esperienza virtuale, un’edizione limitata delle sneakers Trigreca.
GENERARE ENGAGEMENT E INTERACTIVE CUSTOMER JOURNEY
Sfruttando le logiche di premio o ricompensa, già usate nei social media, la gamification sfrutta il cosiddetto dream factor, essenziale nel settore del lusso, spostando l’aspirazione dal marchio al trofeo, accompagnando l’utente in una esperienzializzazione dell’ offerta, rendendola esclusiva e quasi personalizzata.
In una situazione dove l’accesso ai negozi è vietato o contingentato, alcuni brand come Kenzo, con Shopping League, e Nike, con la linea Reactland, hanno optato per la digitalizzazione anche per ricreare l’esperienza di shopping in-store.
Questa innovazione potrebbe aprire le porte ad un nuovo inserimento nella customer journey dei brand, approcciando così la sempre maggiore domanda della Gen Z di avere un coinvolgimento con i marchi in tutte le fasi dell’acquisto.
SFRUTTARE I LEAD USERS
La raccolta di contatti attraverso la registrazione per accedere alla piattaforma dei giochi consente una profilazione molto più accurata di quella che non si otterrebbe dalla semplice navigazione del sito. Maggiori i dati sulle persone, più semplice sarà offrire servizi, promozioni e contenuti ad hoc. Inoltre, un contatto così diretto con il cliente consente ai brand di ambire a co-creazioni con loro e a realizzare prodotti sempre più personalizzati.
COLLABORAZIONI CON LE TECH INDUSTRIES
Il fenomeno ha portato molti marchi di moda a siglare contratti con le industrie che sviluppano videogames. Per esempio, Gucci ha collaborato con Drest, Christian Louboutin ha fatto sviluppare “Loubi world”, un mondo dove gli utenti possono provare scarpe ed abiti dell’ultima collezione, da Zepeto, industria tech coreana; o ancora Louis Vuitton che, collaborando con League of Legends ne ha disegnato i look per gli avatar.
Il successo del processo di ludicizzazione dei brand è tale per cui alcuni marchi stanno già realizzando sequel dei loro videogiochi, come il caso di Burberry, che dopo il cambio di CEO e direttore creativo nel 2018, ha intrapreso una radicale e profittevole campagna di re-branding fortemente incentrata sull’innovazione.
Il rapporto tra game industries e moda si è rivelato particolarmente redditizio anche perché la nuova audience di riferimento è estremamente trasversale. Il 47% del pubblico è femminile e il 26% appartiene alla fascia 15-24, il 18% ai 25-34 e sorprendentemente il 22% ai 45-64[1]. L’interesse per questa nuova forma di comunicazione assume diverse sfaccettature: dalla creazione di abiti solo come accessorio per gli avatar alla “digital couture” dove marchi, come The Fabricant, realizzano capi virtuali da comprare e scambiare nel mondo digitale. Anche Drest permette l’acquisto degli abiti delle maison, con una valuta digitale che ha un tasso di cambio pari a circa 2,29€ per mille Drest Dollar.
L’omnicanalità è in continua espansione e il mercato del lusso sembra esserne sempre più attratto, tuttavia è necessario che si riesca a mantenere un equilibrio tra la democratizzazione tipica del digitale e la caratteristica distintiva del lusso: l’esclusività. Se fino al 2010 molti marchi erano reticenti nel farsi rappresentare dagli influencer per non perdere la propria reputazione, dall’altro proprio tramite essi sono riusciti a raggiungere i target più giovani.
Così, la sfida del mercato attuale e post-pandemico sarà avvicinarsi all’ambìto target della Gen Z mantenendo una digital scarcity.
Intanto, mentre i marchi si sfidano, a noi non resta che giocare.
[1] Dati IIDEA Italian Interactive Digital Entertainment Association