COSTRUIRE IL FUTURO: INTERVISTA A CRISTINA POZZI

In un mondo così instabile, come si può costruire ed immaginare il futuro? Cristina Pozzi ha accolto da tempo questa sfida: quella di imparare a fronteggiare i cambiamenti, immaginare nuovi e possibili sviluppi e dialogare consapevolmente con le tecnologie.

Laureata in Economia (presto anche in Filosofia) ed appassionata di tecnologie, ha fondato Impactscool, un’organizzazione che si occupa di diffondere una nuova cultura del futuro nelle aziende e nelle scuole, con un approccio che non si basa solamente sulla conoscenza delle tecnologie, ma alimenta anche lo sforzo di immaginazione di diversi e possibili scenari di applicazione. È stata inoltre recentemente protagonista, insieme alla giornalista Marina D’Incerti, del podcast Casual Future, prodotto da Piano P in collaborazione con Euro Milano: un podcast leggero e sorridente, che racconta i rischi e le opportunità delle grandi trasformazioni tecnologiche, dalla gestione dei dati alla blockchain.

Che cos’è una future maker?

«È volutamente una definizione provocatoria, perché gli studi di futuro sono sempre visti con un po’ con sospetto: il futuro sembra sempre qualcosa di fumoso e di astratto. Il messaggio che voglio passare è invece che creare e immaginare il futuro è un’operazione profondamente concreta, perché parte da un’importante osservazione del presente e del passato, e ha un obiettivo concreto: prendere oggi decisioni più responsabili e più consapevoli per il domani. Si può imparare, attraverso una serie di metodi che stimolano la creatività, a immaginare e creare il futuro, uscendo dagli schemi. Impactscool cerca di portare questa metodologia di approccio al futuro in Italia, per essere di aiuto alla scuola e alle grandi aziende, supportarle nell’immaginazione di scenari futuri e nella progettazione di migliori e più efficaci strategie.»

Cosa si studia per diventare futurologo?

«In alcuni paesi in cui queste discipline sono più strutturate esistono corsi di studi di futuro dedicati, in particolare scuole di specializzazione e master, ma è davvero una materia multidisciplinare, nella quale confluiscono persone da studi totalmente opposti. Dalla sociologia alla statistica, dal mondo del design alla filosofia: ci sono campi più strategici ed economici che convivono con altri più filosofici e creativi.»

Come si può fare una divulgazione tecnologica consapevole, dando il giusto peso ai rischi e alle possibilità?

«È sempre difficile dare una visione completa e razionale, perché da questo punto di vista tendiamo molto a divergere verso gli estremi, da cui è sempre bene diffidare. Il tema non è tanto la tecnologia, ma il vero cambiamento che provoca all’interno della società. È normale che questo crei divisioni, nel piccolo e nel grande: c’è chi fa più fatica a vedere un cambiamento come positivo, e in generale nessuno di noi ama i cambiamenti, sebbene ci sia chi è più propenso. Il punto è cercare di capire chi si ha di fronte, il contesto nel quale stiamo andando a parlare e capire quali sono gli aspetti più importanti da sottolineare. È importante ricordarci di guardare le cose dall’alto: pensare a cosa serve, a quali bisogni umani potrebbe rispondere e quali problemi invece potrebbe far sorgere. Bisogna quindi partire dalle domande giuste per non raccontare semplicemente la tecnologia, ma proporla con uno sguardo critico

Qual è l’obiettivo di Casual Future, com’è nato e a chi si rivolge?

«In alcuni interventi divulgativi ho conosciuto Marina D’Incerti, giornalista di Donna Moderna, che mi raccontava delle sue iniziali diffidenze rispetto alla tecnologia e, a seguito di numerose chiacchierate, mi ha proposto di strutturare il podcast. L’obiettivo iniziale era quello di raccontare la tecnologia e il futuro in modo semplice e colloquiale. È stata un’esperienza meravigliosa, mi sono divertita tanto e ho scoperto che la radio crea un rapporto molto diretto con gli ascoltatori, come se fosse una conversazione uno ad uno: i messaggi degli ascoltatori per chiedere consigli e approfondire alcuni argomenti ne sono stati proprio la dimostrazione.»

Antonietta Pirchio