LA STORIA DIETRO LA SCENEGGIATURA DI QUARTO POTERE E MOLTO DI PIÙ: MANK

L’esperienza di fruizione in bianco e nero non è qualcosa cui siamo abituati, eppure David Fincher non si è sottratto a questa sfida nel suo nuovo film Mank.

Se, come ci viene detto nel film, “Non si può raccontare la vita di un uomo in un due ore, si può solo sperare di farlo” il regista e attore americano è riuscito nell’impresa e ha fatto anche di più. In circa 120 minuti, Fincher ha saputo condensare la storia che si cela dietro la creazione del capolavoro cinematografico del 1941 CITIZEN KANE (Quarto potere) e la storia del suo creatore, e l’ha fatto in maniera inusuale ma strepitosa.

Tutti, o quasi, conoscono il nome di Orson Welles, sceneggiatore e protagonista di Quarto Potere- ricordato soprattutto per il celebre sceneggiato radiofonico “La guerra dei mondi” che sconvolse l’America intera- ma forse non tutti conoscono Mank. Soprannominato così dai colleghi dell’ambiente, Herman J. Mankiewicz (interpretato da Gary Oldman) fu un critico drammatico per il New Yorker e il New York Times prima di approdare a Hollywood sul finire degli anni ‘20. Talentuoso, eccentrico, intellettuale sarcastico e con qualche problema di alcolismo, Mankiewicz fu scelto proprio da Welles per collaborare alla stesura della sceneggiatura di Quarto Potere.

Secondo la teoria sostenuta da Fincher e da altri esperti del cinema, Mankiewicz avrebbe in realtà scritto il film da solo (sdraiato in un letto con una gamba rotta e supportato da qualche bicchiere), mentre molti altri sostengono che Welles avesse comunque l’abitudine di rimettere mano alle sceneggiature e che avesse scelto di avvalersi dell’aiuto di Mank per via della sua personale conoscenza con il miliardario William Randolph Hearst, cui si ispira il personaggio principale di Quarto Potere.

Comunque sia andata, non senza il disappunto di Welles, Mankiewicz, che inizialmente aveva rinunciato ad apporre la sua firma sul copione, accortosi di aver scritto un capolavoro, decise di volere un riconoscimento e chiese il credito come sceneggiatore nei titoli. Alla fine, la R.K.O scelse di accreditare sia lui che Welles come sceneggiatori ma almeno lo sforzo valse a Mank un Oscar condiviso.

Fincher nel suo film, oltre a riportarci questa curiosa storia, è riuscito a fornirci uno spaccato dell’America di quegli anni ma soprattutto della Hollywood di quegli anni, audace, innovatrice e a tratti spietata. Attraverso una serie di flashback, flashforward, aneddoti e personaggi, il regista ci ha regalato un pezzo di storia del cinema, di un cinema che stava cambiando, stava evolvendosi, trasformandosi, anche e soprattutto per rispondere alla pesante crisi che stava affliggendo il paese e il mondo intero.

Questa storia, ora più che mai, ci spinge a riflettere su come il cinema, il modo di fare cinema e le nostre abitudini di visione, stiano di nuovo cambiando in maniera radicale. D’ora in avanti saremo destinati a vedere i film di Fincher e dei suoi colleghi su una piattaforma over-the-top?

Chi può saperlo, intanto godiamoci Mank.

Sofia Contini