NON AVRAI ALTRA PIATTAFORMA AL DI FUORI DI ME

Dagli Stati Uniti all’Italia, sempre più autorità si stanno muovendo per limitare il potere delle Big Tech, ormai fulcro di potere ed interessi. Nell’articolo seguente il caso Google, nei cui confronti sono state aperte istruttorie dall’Antitrust per abuso di posizione dominante. A rischio la libertà dei consumatori.

Che alcune piattaforme come le dibattutissime GAFAM (acronimo con cui si indicano le 5 maggiori multinazionali dell’IT occidentale: Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) abbiano imposto le loro regole e strutture non è certo un segreto: dall’editoria al gaming passando per la politica, le logiche delle potenti piattaforme digitali hanno modificato e permeato alla radice qualsiasi dominio della nostra contemporaneità. Ma quando potranno le istituzioni imporre i loro schemi e finalmente regolare a loro volta le Big Tech?

Ci ha provato il Dipartimento di Giustizia americano appena un paio di settimane fa, accusando Google di soffocare ogni forma di concorrenza prima ancora che questa veda la luce o, in altre parole, di monopolio. Dopo il duro colpo sferrato da Washington, non molto tempo è passato prima che Roma rincarasse la dose: nel mirino sempre Google, la conosciutissima piattaforma nata e cresciuta nella Silicon Valley ormai parte integrante della nostra vita che – grazie all’aggregazione quotidiana di un’enorme mole di dati – arriva a conoscerci meglio di chiunque altro. Ed è proprio il reperimento di Big Data a innescare sempre più polemiche, ultima per ordine quella che sta infiammando il nostro Paese.

Qui i fatti. IAB Italia, la più importate associazione nel campo della pubblicità digitale e rappresentante della filiera del mercato della comunicazione online in Italia, ha per prima puntato il dito contro presunte pratiche di concorrenza sleale che l’azienda di Mountain View avrebbe messo in atto per escludere i competitor dal redditizio mercato del display advertising, gli spazi della rete dedicati alle inserzioni pubblicitarie, in cui una pluralità di voci (tra aziende, inserzionisti ed utenti) si incontrano sullo sfondo di un multi-sided market.

Da qui ad un intervento di AGCM il passo è stato breve. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha infatti agito aprendo un’istruttoria nei confronti di Google per abuso di posizione dominante nel mercato nazionale di display advertising, che solo nel 2019 ha fatturato 1,2 miliardi in Italia. Secondo le accuse, Google avrebbe attuato una condotta di discriminazione nei confronti della concorrenza, interrompendo la fornitura delle chiavi di decriptazione di ID Google, bloccando i pixel di tracciamento di competitor ed interrompendo la vendita di spazi pubblicitari su YouTube da parte di altri operatori.

Ciò che spaventa le autorità e spinge i governi di tutto il mondo a cercare di rallentare l’espansione della piattaforma digitale mediante un’adatta regolamentazione è il fatto che Google non si limita a reperire informazioni solamente dalle inserzioni che controlla, ma all’azienda confluiscono dati dai servizi collegati agli account Google ID degli utenti fruitori, dal sistema operativo Android e dal Browser Chrome, spesso installati di default sui nostri device digitali. La tecnica dell’installazione automatica di questi servizi fa leva su un’euristica messa in atto dal nostro cervello per risparmiare tempo ed energie. Mi riferisco all’omission bias, la tendenza a preferire un’inazione (restare con i setting predefiniti) piuttosto che un’azione: l’importanza strategica di quest’operazione è enorme. A conferma di ciò, basti pensare che l’accordo con Apple per l’installazione automatica dei servizi di Google sui propri dispositivi è stata negoziata ad un costo di 10 miliardi annui, costo che tiene difatti conto dell’effetto di rete positivo che andrà a vantaggio dell’azienda di Mountain View.

In altre parole, il potere della piattaforma Google non ha barriere. Ad ogni modo, tutto ciò non è certo una novità, per le autorità così come per i consumatori. Perché allora tanta attenzione? Innanzitutto, se queste dinamiche verranno ignorate, le Big Tech continueranno ad arricchirsi sempre di più, diventando organismi impossibili da gestire per mole di potere ed interessi. Parliamo infatti di una dinamica già diffusa, quella di “platformization”, termine col quale si indica la contaminazione delle logiche delle piattaforme digitali come Google nella sfera politica, economica, sociale e culturale delle nostre società, una contaminazione che permea le istituzioni, così come le nostre vite.

Inoltre, in questo scenario, la mancanza di concorrenza va a danno dei consumatori come del settore: una situazione di monopolio difatti non fornisce adeguata scelta di offerta, limitando inoltre l’innovazione e lo sviluppo di nuove tecnologie magari meno invasive e preferibili dagli utenti.

Giulia Dei