IL GEO-BLOCKING NEL MERCATO DEGLI AUDIOVISIVI E LE PRINCIPALI CONSEGUENZE ONLINE

Ti sei mai chiesto perché su Netflix non riesci a vedere gli stessi contenuti che vedono i tuoi amici in altre parti del mondo? La causa è una misura di protezione, un vero e proprio “confine digitale”: il GEO-Blocking.

Il GEO-Blocking è un insieme di restrizioni applicate da parte di enti governativi e società, che bloccano la diffusione di determinati contenuti in base alla provenienza geografica degli utenti che ne vogliono usufruire. Si tratta di una pratica molto presente nel settore degli audiovisivi online, adottata da piattaforme come Netflix, Amazon Prime Video, Spotify e YouTube per indirizzare contenuti video o pubblicità a specifici target di mercato, identificabili per regioni o Paesi.

Una delle ragioni principali che spinge piattaforme come Netflix a differenziare il proprio catalogo in base all’area geografica è che si tratta di piattaforme che, oltre ad offrire contenuti auto-prodotti, accolgono anche contenuti creati e distribuiti da terze parti. I distributori di tali contenuti, infatti, stipulano degli accordi con gli Stati che non possono essere violati. Ecco perché piattaforme come Netflix devono rispettare questi accordi e limitare la distribuzione di contenuti in Paesi con cui le case di distribuzione non hanno stipulato alcun accordo.

Per questo motivo, Netflix conta oggi quasi 200 versioni diverse del proprio catalogo, differenziate per prodotti. Tra le versioni più popolari si annovera senz’altro Netflix US, che offre una più ampia gamma di contenuti rispetto, ad esempio, a quella italiana. Pare che ad oggi, in Italia, siano presenti 2474 film e 1116 serie tv, a fronte dei 3961 film e 1859 serie tv degli States.

Uno dei problemi causati dal blocco della diffusione dei contenuti è l’incremento della pirateria online, oltre che l’insorgere di pratiche assolutamente illegali, come il Grey market (letteralmente mercato grigio). Per aggirare questo blocco geografico, infatti, molti utenti hanno adottato diverse strategie, con conseguenze nient’affatto sicure. Uno di questi è il servizio VPN (virtual private network), tramite il quale alcuni utenti mimetizzano la loro geolocalizzazione, dando vita a ciò che viene definito il fenomeno di Tunneling. Oltre che essere esplicitamente illegale, il Tunneling è stato preso di mira dalle policy di Netflix, sempre più attente a sanzionare tutti quegli utenti che adottano questo escamotage. Pratiche come il Tunneling e il Grey market non fanno altro che colpire le piattaforme streaming, che devono impegnarsi a fronteggiare queste strategie e a punirle, a volte anche severamente.

Questa rigida territorialità del mercato degli audiovisivi rappresenta per molti un sistema oligopolistico, che va contro la liberalizzazione dei mercati. A tal proposito, nel febbraio 2018 l’Unione Europea ha varato una nuova normativa per interrompere la pratica di bloccare i contenuti in base alla provenienza degli utenti. Questo consente, ad esempio, di ordinare e ricevere al proprio indirizzo dei prodotti offerti da siti stranieri, oltre che di usufruire di condizioni e costi egalitari per tutti i clienti. Nonostante ciò, questo provvedimento non riguarda i contenuti delle piattaforme streaming, perché questi sono coperti da copyright. Di conseguenza, ancora oggi la diffusione di prodotti mediali come videogiochi, e-book, musica e servizi di streaming online viene limitata dal blocco territoriale.

Insomma, non si sa per quanto ancora gli utenti più affezionati a Netflix dovranno incontrare la dicitura “Questo contenuto non è disponibile nel tuo Paese”. Ciò che è certo, però, è che una gran parte degli abbonati continuerà a sperare di poter accedervi, senza più limiti e “frontiere” digitali.

Alessia Sabrina Natalino