Nuove tecnologie permettono agli utenti della Rete un maggiore controllo sui propri dati e la possibilità di monetizzarli. Così si favorisce uno scambio da cui possono trarne vantaggio sia i singoli cittadini che l’intera comunità.
Ogni giorno mondo sono prodotti 2,5 quintilioni (1030) byte di dati ed è previsto che nel 2020 ogni persona creerà circa 1,4 MB di dati al secondo. Insieme agli smartphone e alle numerose applicazioni in essi installate, anche i dispositivi dell’Internet of Things forniscono un grande contributo alla generazione di questo tsunami digitale.
Il numero di oggetti connessi a Internet che registrano informazioni durante il loro utilizzo è in continua crescita: basti pensare, senza addentrarci in contesti industriali, a tutti gli apparecchi wearable (smartwatch, smartband), assistenti vocali o agli elettrodomestici e veicoli di ultima generazione.
Ci troviamo ancora una volta nell’ambito del paradigma dei Big Data, termine con il quale si richiamano smisurate quantità di dati dai quali è possibile ottenere una conoscenza del mondo più profonda, rilevare fenomeni inaspettati e anomalie, ma anche elaborare sistemi predittivi e di in intelligenza artificiale.
Normalmente i dati generati dai singoli dispositivi, e quindi dai singoli individui, sono accumulati dai produttori del dispositivo o dai gestori del servizio utilizzato, per poi essere ceduti (ovvero venduti) a terze parti. Questo processo, spesso intermediato, non garantisce agli utenti una completa trasparenza circa la destinazione e l’utilizzo dei dati stessi.
EcoSteer, grandi ambizioni con grandi potenzialità
In questo scenario, nel 2017, è nata EcoSteer, società che con la sua attività promuove la Data Sharing Economy, un sistema, un concetto, il cui scopo è sfruttare le enormi potenzialità che derivano dall’uso dei Big Data attraverso una migliore efficienza nei processi di scambio e condivisione di metadati.
L’azienda, in particolare, orbita attorno all’utilizzo di due tecnologie: la prima permette la conversione e l’interoperabilità dei dati originati da dispositivi IoT, la seconda, detta Data Ownership Platform, garantisce ai proprietari dei dati il controllo e la remunerazione di questi.

Si tratta di una piattaforma che raccoglie i data streams (flussi di dati) degli utenti registrati. Attraverso questa i cosiddetti data owner spossano autorizzare – e impedire – l’accesso ai propri dati da parte di terzi, tipicamente imprese o altri generi di stakeholder, garantendo rispetto del GDPR.
Che i dati abbiano un gran valore è fuori discussione, non si contano le volte in cui ci si è riferiti a questi con appellativi come “il petrolio del 21 secolo” o simili. Il riconoscimento è di tale valore è alla base della Data Sharing Economy e infatti le varie piattaforme di data brokerage, dove vengono condivisi i dati, prevedono una remunerazione in token per coloro che mettono a disposizione i loro dati.
L’elemento differenziante di EcoSteer, oltre al controllo dell’accesso ai propri dati, permette che la condivisione dei propri dati sia rivolta a diversi stakeholder.
Lo scambio tra dati e token, il valore della transazione e le condizioni di utilizzo dei dati scambiati sono concordati attraverso smart contracts: un codice che permette, appunto, lo scambio di asset digitali al verificarsi di determinate condizioni prestabilite.
Un esempio di applicazione: Bolzano SmartCity
Recentemente EcoSteer ha realizzato per la Provincia di Bolzano un portale basato proprio sulla Data Ownership Platform. Il risultato è stato una sorta di mercato di metadati, nel quale i cittadini possono condividere con imprese e istituzioni i loro data streams, ottenendo in cambio token utilizzabili per servizi di vario tipo (sconti, parcheggi gratuiti, ecc.).
La Data Sharing Economy si presenta come una rivoluzione del paradigma preponderante, per il quale non si può affermare vi siano altrettanta trasparenza e controllo.
La tokenizzazione dei dati si può collegare al pensiero di Jaron Lanier, secondo il quale, in merito ai social network, sia necessario “stabilire un principio per cui le aziende digitali devono pagare per avere i nostri dati personali”.
Di questi scambi ne gioverebbero operatori dei più diversi ambiti: informazioni sull’utilizzo e il funzionamento delle automobili, ad esempio, possono essere analizzate dalle case costruttrici, così come da mutue assicuratrici o da istituzioni che si occupano di viabilità stradale e via dicendo. I limiti di scambio e utilizzo dei dati sarebbero vincolati prevalentemente alle dimensioni e al numero dei membri all’interno del network di condivisione.
Non si tratta esclusivamente della nascita di nuove opportunità di business, ma anche, e soprattutto, della possibilità di studiare e progettare un mondo migliore e arricchito dallo sfruttamento di risorse private senza però compromettere la sicurezza dei dati e la privacy dei data owners grazie alla crittografia per applicare i termini del GDPR.
Può darsi che ci vorrà del tempo, probabilmente anni, prima che questo sistema venga implementato su ampia scala, ma personalmente ritengo che l’ideale e le competenze che stano alla base di questo progetto ne garantiranno un crescente sviluppo.