Apple TV+, il servizio di streaming di Apple, è arrivato ormai da qualche mese anche in Italia e se per ora l’offerta non è tra le più varie in termini di contenuti seriali di qualità, nel suo catalogo si annida una perla di rara bellezza.
Da un lato abbiamo visto cast stellari in The Morning Show (dove si sono alternati Jennifer Aniston, Reese Witherspoon e Steve Carell alla conduzione di un TG mattutino travolto da scandali in salsa #MeToo), nominato ai Globe, ma fin troppo mainstream e “già visto” per meritarsi una vittoria. Dall’altro una produzione come See, distante dall’attualità (anche se inquinamento e conseguenze di virus letali la avvicinano drammaticamente ai nostri giorni), ma interessantissima dal punto di vista tematico e fotografico (un po’ meno per quanto riguarda la scrittura). Tra altre serie zoppicanti, come Dickinson e Truth Be Told, si nasconde però la chicca in questione: For All Mankind. Dal creatore di Battlestar Galactica (Ronald D. Moore), questa produzione Apple, ignorata dai red carpet californiani e da buona parte della critica, merita molto di più di quanto le è stato finora riservato.
Ambientata negli anni Sessanta, For All Mankind è un racconto storicamente molto attendibile di alcuni eventi mai avvenuti. Il tutto parte da una premessa forte, una serie di what if: cosa sarebbe accaduto se i Sovietici – in particolare Alexei Leonov – fossero sbarcarti per primi sulla Luna? Sicuramente l’America si sarebbe rimboccata le maniche per colmare il divario e Edward Baldwin (Joel Kinnaman) si sarebbe mangiato le mani, in quanto ex capitano di una missione fermatasi a tanto così dall’allunaggio. E ancora, cosa sarebbe successo se il secondo cittadino russo a toccare il suolo lunare fosse stata una donna? Forse la conservatrice NASA avrebbe dovuto addestrare, con non poche difficolta, un team di astronaute (tra cui Margo Madison, interpretata da Wrenn Schmidt) che fossero all’altezza della corsa allo spazio.
La magia non risiede tanto in questi affascinanti paradossi storici, tra l’altro potenziali fonti di caos narrativo, bensì nella maestria con cui gli autori sono riusciti a tenere insieme la Storia con la maiuscola (che accompagna vicende reali – come quella del direttore Wernher von Braun, allontanato dalla NASA per il suo passato nazista – con frammenti fotografici che rendono verosimili le parti inventate) alle storie “minuscole” di chi ha vissuto in quel particolare universo temporale, lontanissimo ma al contempo molto vicino al nostro.
Infatti, tra grandi accadimenti che modificano gli assetti geo-politici della Guerra Fredda, si insertano drammatici frammenti di vite quotidiane: tragedie famigliari che riguardano la cupa middle class fatta di mogli e mariti di chi è partito in missione; amori pericolosi e da nascondere, quali quelli omosessuali, non in linea con i canoni richiesti per operare nell’agenzia spaziale; fino a difficoltà insormontabili, come nel caso di Tracy (Sarah Jones), prima donna a ricoprire un ruolo di responsabilità alla NASA, o della giovane Aleida (Olivia Trujillo), scappata dal Messico con in valigia il sogno di raggiungere le stelle.
Bastano pochi minuti per capire che For All Mankind è una serie di fantascienza che non parla di fantascienza né tantomeno di politica, bensì sfrutta (e viola) determinati canoni di genere per dipingere un fedele ritratto degli Stati Uniti d’America, dove prevalgono contraddizioni, ma germoglia sempre la speranza. In quanto tale la trama è multistrand e sapientemente congegnata (risulta perciò difficile rendere conto di tutte le linee narrative): parliamo di un prodotto dagli intenti ambiziosi e, non bisogna nasconderlo, sicuramente non “facile”. Il consiglio è di non lasciarsi scoraggiare dalla fisiologica lentezza dei primi due episodi, privi di colpi di scena significativi, e di proseguire. Perché se è vero che For All Mankind ingrana lentamente, le soddisfazioni che regala sono preziose. Per chi come me ha invece terminato la visione, non resta che attendere una seconda stagione altrettanto “spaziale”.