MADE IN (A BORING) ITALY

Made in Italy è una serie televisiva che parla della nascita del prèt-à-porter in Italia, avvenuta attorno agli anni Settanta del secolo scorso, che è stata girata nel luogo in cui la moda italiana ha alzato fieramente il viso di fronte a quella francese, Milano appunto. La sua linea narrativa è filtrata dall’occhio, per niente intimorito, di un’esordiente giornalista che lavora in una rivista di moda dell’epoca: Appeal.

Chi, come me, è appassionato di moda e ancora di più, di giornalismo, ha salutato l’avvento della nuova serie Mediaset, prodotta da Taodue Film e The Family, con trepidante positività. Gli ingredienti, in apertura elencati, potevano dare luogo a una novità targata made in Italy, appunto, oppure cadere in un pozzo di luoghi comuni, come a mio malgrado è avvenuto.

A ricoprire il ruolo di giornalista in erba è Irene Mastrangelo, proveniente da una famiglia di umili origini, che studia Lettere all’Università Statale di Milano, e che un giorno, dal rifiutare un voto ad un esame, si ritrova catapultata, per puro caso, nella redazione di Appeal, in cui si presenta in ritardo per un colloquio. L’aspirante giornalista non sa ancora di essere la linfa di freschezza e di gioventù di cui la rivista aveva disperatamente bisogno in quel momento.  Tra riferimenti artistici, perseveranza, eventi fortuiti che hanno dell’incredibile e incontri ravvicinati con i più grandi stilisti dell’epoca, l’enfant prodige si ritrova, alla fine della stagione, a ricoprire il ruolo di direttrice del giornale. Pazzesco, no?

La prima stagione è divisa in otto puntante, in cui Irene incontra, in ogni episodio, uno stilista diverso. Questi ultimi, nell’ordine Albini, Krizia, Missoni, Curiel, Armani, Valentino, Versace e Fiorucci, si presentano a lei affabilmente, raccontando di buon cuore i nobili sentimenti che sottendono il loro lavoro (tutti tranne Valentino, che non la riceve neanche). Non ce l’avrebbe fatta senza l’appoggio di Margherita Buy, nel film Rita Pasini, direttrice della rivista, che la prende sotto la sua esperta ala e la conduce alla scoperta dello scintillante mondo della sartoria italiana.

Le citazioni e i riferimenti al Diavolo veste Prada non si contano neanche, anche se il piccolo schermo italiano ha saputo insaporire un piatto già esistente con una sceneggiatura telefonata e una regia che sa di stantio, di già visto.

Made in Italy rimane un tentativo di riuscire a raccontare qualcosa che, inspiegabilmente, in Italia non era mai stato raccontato a livello televisivo. Tuttavia, sceglie di farlo con un bell’affresco sulla moda, un dipinto statico che rimane ancorato alle sue precedenti rappresentazioni, al suo principale storytelling, al suo presentarsi ancora come stereotipo, un ruolo che a quanto pare non riesce ad abbandonare.

Martina Bissolo