Berlino, Londra, Parigi e Madrid. No, non sono i nomi dei rapinatori mascherati da Dalì che riescono sempre a farla franca, ma le città di Criminal, l’innovativo progetto antologico targato Netflix, che segue le vicende di chi dalle forze dell’ordine è già stato catturato.
In un setting claustrofobico che varia geograficamente all’interno di uno schema fisso, la fiction (creata da George Kay e Jim Field Smith) è in grado di inaugurare con successo un nuovo format seriale. Un’operazione rischiosa, che va a toccare il mondo iperinflazionato di “criminalità-polizia-processi giudiziari”, ma anche vincente nella sua unicità.
Si parla infatti di un procedural tutto europeo che fa una netta scelta di campo, quella di scommettere solamente sulla sala interrogatorio (e le stanze ad essa adiacenti). Un unico dettaglio ambientale: quattro mura intersecate da uno specchio riflettente e capaci di ospitare drammi e cast diversi in relazione all’episodio, ma soprattutto in base al luogo della propria ubicazione.
Tale decisione implica un focus su personaggi e sessioni di dialogo, elementi di alterità in un non-luogo che si replica identico a sé stesso a centinaia di chilometri di distanza, tra le capitali d’Inghilterra, Francia, Spagna e Germania. Complice poi una macchina da presa che sa sfruttare lo spazio costrittivo a disposizione con buoni piani sequenza ed efficaci inquadrature, la serie raggiunge un inaspettato livello qualitativo.
Forse in velata polemica con la retorica Brexit e nazionalista, Criminal sembra suggerire che – nel bene o nel male – l’integrazione comunitaria è già un fatto assodato. Le infrastrutture anticrimine e le prassi della polizia – così come gli stratagemmi criminali – non conoscono poi molte differenze da un Paese all’altro dell’Unione Europea (se non quelle di orario: il personale di Criminal: Spagna stacca dal lavoro per la cena alle 21:00, mentre gli inglesi programmano il dinner per le 19:00).
Una globalizzazione di procedure e sensibilità (Criminal riesce ad accennare anche un plot orizzontale tra i dipendenti delle police station), che spinge gli sceneggiatori a concentrarsi – più che su quello che accade nell’environment – sulle aspettative del pubblico. Lo spettatore è spesso costretto a interrogarsi sull’innocenza di chi si trova bersagliato da scomode domande. Oppure è ossessionato dallo scorrere del tempo, segnalato da un orologio da muro hi-tech, che rischia di chiudere la deposizione senza che una risposta soddisfacente sia stata fornita.
Da lodare, quindi, scrittura e attori. E tra questi impossibile non citare almeno due dei molti villain talentuosi: il dottor Edgar Fallon (David Tennant, già famoso per Doctor Who e Broadchurch) e la perturbante spagnola Isabel (Carmen Machi, conosciuta in patria per il teatro).
Criminal non solo è promossa, ma vivamente consigliata. Troverete, per ora, solo quattro stagioni (quella inglese, francese, tedesca e spagnola, ognuna con tre episodi al seguito), ma chissà che il progetto non si apra in futuro anche all’Italia o ai Paesi dell’Est Europa, alla ricerca di nuovi talenti del Vecchio Continente.
Auguriamoci quindi che questo “Erasmus criminale” continui a tenere il fiato sospeso, ma anche il respiro un po’ purificato dal mainstream americano.