L’intelligenza artificiale è una figura ricorrente nell’immaginario contemporaneo, simbolo di progresso, ma spesso fonte di enormi guai. Grazie all’internet of things ed al machine learning oggi le A.I. potrebbero diventare realtà. Come impatterà sulle nostre abitudini? Quali saranno le implicazioni?
La raccomandabilità oggi influenza il mondo. Nuovi soggetti gatekeeper (ad. Es. Facebook) indirizzano le scelte di consumo con l’ausilio di sempre più complessi algoritmi, configurando in questo modo una inedita posizione di controllo sulla distribuzione di massa. Il Machine Learning – inteso in parole povere come la capacità di una macchina di apprendere senza essere programmata esplicitamente – si diffonde, estendendosi ad ambiti sempre più disparati: dalla medicina alla difesa, dalla fisica alla produzione audiovisiva.
Grazie a queste tecnologie, basate su complessi algoritmi e reti neurali, si aprono nuovi orizzonti competitivi, margini di miglioramento e soluzioni che nessuno avrebbe mai creduto possibili. Ed ecco i nuovi modelli d’automobile di Tesla che, in modalità autopilota, sono in grado di prevedere un incidente stradale diversi secondi prima che si verifichi, correggendo in automatico la direzione; per non parlare della funzione neo-editoriale assunta da Netflix nel determinare, tramite le raccomandation, l’esperienza di visione.
Una cosa sembra evidente: se oggi viviamo nell’era dei Big Data, è ormai certo che il domani sarà l’epoca del Deep Learning. Cosa rappresenta e in che modo questo modello di apprendimento riesce ad ottenere risultati così sorprendenti?
L’apprendimento profondo è una tecnica che insegna ai computer a svolgere l’attività più naturale dell’uomo: imparare grazie all’esperienza, o meglio, grazie agli esempi. Tramite il “training” automatico, questi modelli sono in grado di raggiungere una precisione tale da superare talvolta quelle ottenute dall’uomo in contesti complessi. Questi schemi predispongono essenzialmente la strada per l’attuazione dell’intelligenza artificiale, insegnando a “neonati binari” come apprendere, “fare esperienza” e decidere.
Sembrerebbe allora che non siamo così lontani da HAL 9000 (2001, Odissa nello spazio, S. Kubrick), e che presto ognuno di noi potrà acquistarsi la propria Samantha (Her, S. Jonze). Purtroppo (o per fortuna: v. I dubbi di Stephen Hawking sull’intelligenza artificiale, la Repubblica) questo traguardo non appare così vicino.
Sebbene a livello tecnico-produttivo esistano già le risorse e le competenze per la costruzione di una macchina cosciente, quello che ci manca è un esaustivo modello del funzionamento della mente e del cervello.
Fin dai tempi di Platone e Aristotele l’uomo cerca un modo per descrivere l’anima. Oggi non più solo filosofi, ma chimici, biologi, ingegneri e giuristi tentano di risalire all’origine della psiche.
Nonostante le Neuroscienze abbiano raggiunto traguardi importanti nel comprendere la struttura di funzioni quali pensiero, emozioni, e percezioni, la disciplina è ancora in fase aurorale. Il continuo processo d’interazione tra ciò che è biologico, come processi di apprendimento, e tra ciò che è sociale, come l’educazione, rende complesso qualsiasi tentativo di rappresentazione.
E così, mentre la tecnologia si fonde con la vita quotidiana, formattando le esperienze in un linguaggio di memoria diverso da qualsiasi altro essere animale, gli scienziati cercano di fondere la vita con la tecnologia. Le implicazioni sono incredibilmente importanti: sarebbero una nuova forma di vita? È giusto dotarle di emozioni? È possibile che sfuggano dal nostro controllo?
Una cosa è certa, come ironicamente diceva Stephen Hawking: “l’intelligenza artificiale sarà la più importante conquista dell’uomo. Peccato che potrebbe essere l’ultima”.