Ormai da tempo sono un’inguaribile fanatica di Netflix. Ovviamente il servizio non ha bisogno di presentazioni con i sui 93.8 milioni di abbonamenti all’attivo nello scorso anno, dubito che qualcuno non l’abbia mai sentito nominare. Oltre ad essere un ottimo spunto di conversazione, un business fantasticamente riuscito e un passatempo che non delude mai; la cosa che senza dubbio è encomiabile è l’istruttività di alcuni suoi prodotti. Per “suoi” intendo quelle produzioni originali che ormai sono il core business della piattaforma e che ad oggi si sviluppano nelle tre macro categorie di: Serie Tv, Film e Documentari.
È proprio da quest’ultima categoria, quella dei documentari, che talvolta mi sono trovata a stupirmi. Un documentario sulle piattaforme distributive tradizionali è spesso un discutibile monolite didascalico la cui realizzazione spesso spinge a cambiare canale a metà della visione. Con Netflix mi sono invece ritrovata a fare maratone di puntate di documentari realizzati dal servizio in modo da essere entusiasmanti e soprattutto capaci di stimolare sinceramente la curiosità di chi li guarda. Gli argomenti sono tra i più disparati, la struttura della visione, spesso a puntate è non solo innovativa ma anche in grado di innescare il meccanismo del binge watching e il modo di narrare le vicende è assolutamente avvincente. Tra gli ultimi documentari che ho visto sicuramente 4 sono stati assolutamente entusiasmanti per quanto profondamente diversi tra loro.
What The Health: Il documentario disponibile in catalogo dal 2017 desta non poche controversie. Primo tra tutti gli aspetti, il tema: nessuno è mai contento di sentir parlare di malattie e dieta vegana nella stessa frase, e chiaramente se ti capita di accennare all’argomento sei una nazi-vegana pazza cospiratrice anti vaccini. OK. Quindi se dicessi che da vegetariana mi è piaciuto il documentario sarei di parte, se dicessi di no cercherei di applicare la tecnica della psicologia inversa. Dunque, mi premurerò di sottolineare due fatti: molto confusa dall’interesse che mi hanno suscitato i temi trattati l’ho consigliato a diverse persone e tutti si sono rivelati entusiasti. Il secondo fatto, strettamente collegato a questo primo, è che per quanto semplicisticamente si affrontino i temi (d’altra parte in un’ora e mezza si toccano vari aspetti dell’industria alimentare occidentale) le questioni sollevate è giusto che facciano riflettere. Come ogni cosa, non è da prendere come un dogma monolitico, ma, tra queste varie persone che hanno deciso di seguire il mio consiglio e guardare il documentario, tutte mi hanno rivelato di non essere a conoscenza di alcune questioni relative all’industria alimentare, che io davo totalmente per scontate, e che il documentario descrive in modo efficace.
Dope: il tema trattato è abbastanza esplicito: la droga. Mi piace molto vedere le differenze tra il modo in cui vengono romanzate alcune questioni nei film e nelle serie tv e invece quella che è la realtà dei fatti. Quando si guarda Narcos o Candy o Blow chiaramente si sviluppa una concezione quasi romantica (passatemi il termine) del narcotraffico. Guardare un documentario sull’argomento, dove ogni puntata tra l’altro si concentra su un tema particolare legato al mondo della droga, riporta la questione alla sua brutalità. La realizzazione è molto interessante e anche misteriosa, nel senso che mi lascia un po’ interdetta come la troupe sia riuscita a coinvolgere trafficanti, tossici, forze dell’ordine nelle riprese.
Girls Incarcerated: è una delle docu-serie più recenti che ho affrontato e il motivo che mi ha attratto è più o meno quello sopracitato. Dopo aver visto Orange is the New Black ero molto curiosa di capire come potesse funzionare un vero carcere femminile. Il fatto che potesse essere un mezzo manicomio mi era suggerito dal buon senso, ma non ho mai idea di “fino a che punto”. Beh, il punto raggiunto da queste ragazzine detenute in un riformatorio ha dell’incredibile. Diversamente dal tema della droga quindi, che mi ha fatto pensare che forse non è esattamente sano spettacolarizzarla al punto di far effettivamente perdere l’aspetto drammatico della questione, in questo caso gli autori di Orange is the New Black non potevano essere più accurati nelle loro ricerche.
Cuba and the Cameramen: quest’estate mi sono innamorata di Cuba anche grazie a questa produzione veramente ben approfondita su una cultura che per decenni ha rifiutato in blocco la cultura occidentale. Il documentario dipinge un quadro della società cubana passando in rassegna le storie di 3 famiglie che hanno passato gli ultimi 40 anni sull’isola. La profondità della narrazione porta il documentario ad avere una struttura siile a quella di un film, con la differenza che tutto quello che si vede è realtà.
Francesca Maria Poletti