Il calcio è (davvero) in fuorigioco?

La presentazione dei risultati del X Rapporto di Focus in Media dell’Osservatorio sulla comunicazione e i media della Fondazione per la Sussidiarietà è stata l’occasione di un importante dibattito circa la condizione del sistema calcio italiano e internazionale.

Nell’introdurre la conferenza, Guido Gili ha definito il sistema calcio “un pallone troppo gonfio”, spiegando che il calcio non è un fenomeno in crisi, ma che insieme ad una forte crescita presenta diverse contraddizioni. Secondo lo studio, sono quattro le tendenze secondo cui il sistema odierno si è evoluto negli ultimi tre anni: industrializzazione, mediatizzazione, globalizzazione e ferializzazione.

Il calcio è innanzitutto una grande industria, con un volume di affari stimato per la stagione 2016/2017 superiore ai 25 miliardi di euro solo in Europa. Crescita che prosegue al pari di una sempre più marcata concentrazione delle risorse nelle mani di poche leghe sportive e di pochi club, riflettendosi evidentemente sui risultati sportivi. Nel tempo, l’industria calcistica si è legata progressivamente a quella dei media, che con i diritti televisivi finanzia buona parte degli investimenti delle società; d’altronde la mediatizzazione è evidente se si riflette su come la struttura del calcio odierno ricopra moduli spazio-temporali che somigliano sempre più a quelli televisivi (basti pensare ai calendari stagionali). Il terzo pilastro è la globalizzazione, da un lato visibile nei grandi investimenti internazionali cinesi, russi e orientali, dall’altro nella dimensione inter-nazionale dei tanti scandali che di sportivo hanno ben poco, ma hanno coinvolto in modo diffuso il mondo del calcio. Inoltre, se da un punto di vista economico la globalizzazione accresce di molto i ricavi delle società, sotto un’ottica socio-culturale rischia di indebolire la dimensione identitaria delle singole squadre. In ultimo, la tendenza a diluire temporalmente i calendari e le competizioni rischia di distruggere la dimensione festiva propria del calcio, l’aura di unicità e di sacralità che produceva grande attenzione nel pubblico, annientando insieme la concorrenza televisiva, come ha sottolineato il professor Simonelli.

Se si guarda all’Italia, la situazione appare ancora meno rosea che in altri contesti. Il dato più evidente è il calo degli spettatori in serie A. Gli stadi italiani sono semivuoti: durante il girone d’andata da poco concluso, gli spettatori per partita sono stati in media 21.457, una copertura del 55% dei posti disponibili, con un calo del 4% rispetto al 2010-2011. Questo dato, ormai conclamato da anni ed esploso a seguito del proliferare degli scandali Calciopoli e simili, viene spesso ricondotto all’influenza televisiva nelle abitudini degli italiani. Come ha sottolineato Ivo Germano, il sistema delle pay-tv ha creato una vera e propria alternativa allo spettacolo dal vivo, uno “stadio domestico” fruito comodamente a casa che replica rumori, umori e retroscena del live match (si pensi alle riprese negli spogliatoi). Lo stadio domestico è soltanto uno dei paradossi dell’abbondanza di cui parla Germano, e non spiega da solo la disaffezione del pubblico. Al contrario, la ricerca ha individuato tre ipotesi.

  • La prima è di tipo “estetico”, legata ad un evidente peggioramento delle condizioni dello spettacolo in campo offerto dal campionato italiano, e dalla mancanza di servizi adeguati negli stadi.
  • La seconda è un’ipotesi “organizzativa”, che individua nei club stessi la responsabilità di non aver saputo offrire un’organizzazione all’altezza dello spettacolo, specie nel rapporto fra il costo e la qualità del prodotto offerto.
  • L’ultima è di natura “etica” e si concentra sugli scandali societari e finanziari, sul calcioscommesse e in generale sul clima di naturalizzata illiceità che ha scalfito inesorabilmente la credibilità del sistema stesso.

Questi risultati sono stati corroborati anche da una indagine etnografica che, seppur priva di una reale rilevanza statistica, aiuta a inquadrare la dimensione umorale dei tifosi, di fatto gli attori centrali dell’industria e di queste riflessioni. Da alcune conversazioni è emerso un mood nostalgico ricorrente, connesso a tutte le problematiche finora discusse, dall’aziendalizzazione alla corruzione e alla perdita della rappresentatività cittadina del calcio globalizzato. Un insieme che, secondo i ricercatori, rischia davvero di trasformare il tifo in una “passione fredda”, dove l’unicità e la sacralità dello stadio e del tifo viene ritrovata in surrogati gamificati come il fantacalcio, e il ritualismo e la socializzazione persi vengono restituiti dal ritorno ai bar e alla visione collettiva.

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