Dieci anni dopo ritornano Lorelai e Rory, le protagoniste di “Una mamma per amica”, nell’attesissimo revival targato Netflix. Un’esilarante riscoperta di un mondo ancora ricordato dai tanti fan, che presenta quella voglia di immedesimarsi ancora una volta con chi è cresciuto con loro.
Era il 2000 quando sugli schermi è stata trasmessa la prima puntata di “Una mamma per amica”, serie televisiva conosciuta da molti, che dopo il silenzio di anni dalla fine dell’ottava stagione è tornata con quattro puntate sulla piattaforma di Netflix.
Ambientata nell’immaginaria cittadina di Stars Hollow, racconta le vicende delle due ragazze Gilmore, Lorelai (Lauren Graham) e Rory (Alexis Bledel), madre e figlia unite da un legame molto profondo.
Storia che ha conquistato un vasto pubblico, che con gli anni si è unito intorno ad un mondo verosimile composto da tematiche e dialoghi brillanti che hanno saputo toccare l’animo umano sotto più sfere. Humor, ironia, ma anche riso amaro e tristezza uniti alle performance de i suoi protagonisti hanno dato a questa serie televisiva la peculiarità di essere ancora fra le più viste e ricordate di tutti i tempi.
Il revival è una caratteristica molto apprezzata quando si parla di serialità: “Star Wars” è tornato sul grande schermo, “X-Files” ha aggiunto una decima stagione e Netflix, quest’anno, ci riporta a Stars Hollow per trascorrere un anno insieme alla madre e figlia più famose e amate della televisione ovvero le “Gilmore Girls”. Quel mondo verosimile custodito nei ricordi dei fan è ancora lo stesso, con tutte le sue minuziose peculiarità, le strade caratteristiche e i tradizionali punti d’incontro, che vedono però protagonisti invecchiati di nove anni.
Nonostante la distanza temporale creatasi negli anni, e quindi, il silenzio dall’ultima puntata del 2007, tutto sembra presentarsi come il continuum di una storia che ha ancora in sé tutte le caratteristiche che l’hanno resa unica ed esclusiva. L’immedesimazione dello spettatore (o fan in questione) è un’ottima rappresentazione della notevole mole di successo che un prodotto mediale simile ha saputo costruire e mantenere nel tempo.
Quante piccole e intraprendenti Rory sono cresciute in questi anni? Quante Lorelay hanno continuato a cercare il proprio Luke? Quante volte il fluire veloce delle parole nei dialoghi delle due protagoniste sono diventate parte del quotidiano comunicare?
A queste domande vi è una sola risposta ovvero l’attesa e, poi, la futura e ben riuscita fruizione del progetto “Gilmore Girls” portato a termine dalla collaborazione Netflix-Warner.
“Una mamma per amica” racchiude in sé la magia delle relazioni umane intraprese tra madre e figlia, tra amici, tra membri di una stessa famiglia, tra cittadini di una città e molto altro. Questa serie televisiva avvicina chi la guarda a sviluppare il desiderio di non essere solo spettatore di un mondo, ma di voler entrare a far parte di questo. Ed è su questo concetto che la riflessione intorno alla serialità come prodotto mediale influente assume nuove caratteristiche.
Jenkins, studioso del media nelle varie declinazioni, nel Novecento introduceva concetti quali transmedia storytelling e costruzione di mondi attraverso le nuove tecniche multistrand: la possibilità di entrare nella realtà di ciò che si guarda, al punto da sentirsi pienamente confacenti a quel mondo o al protagonista prescelto sono pratiche quotidiane, strettamente connesse all’uso che si fa del prodotto mediale.
Ebbene sì, che voi siate Rory o Lorelay, che voi vi sentiate Luke o Logan, sappiate che non siete i soli, ma al contrario, vicino ai molti che con un’immagine sui loro social, con un post di una scena o con il riproporre nel mondo reale l’emblematico e velocissimo susseguirsi di << caffè, caffè, caffè>> prendono parte a quello che è un mondo che supera il virtuale e si insinua nel reale.
Le ragazze Gilmore sono l’esempio della costruzione di un mondo contornato da sfaccettature, che sono diventate specchio di atteggiamenti realmente rivisti nella realtà di ogni giorno. Le piccole Rory vi sono davvero e si possono scoprire negli zaini colmi di libri di un’amante dell’ indie rock e del cinema d’autore, curiosa di ogni forma d’arte, refrattaria allo sport, educata, sensibile e di mentalità progressista.
Di colei che non si limita ad indossare il cliché della ‘secchiona’, ma trasformava questo cliché in un personaggio a tutto tondo, verso il quale era ed è semplice provare un livello più o meno ampio di immedesimazione e di empatia.
<< Si è frutto maturo del nostro patrimonio genetico correlato alla nostra esperienza quotidiana >> affermava Darwin nel 1859; ma dagli anni Ottanta in poi si potrà forse dire che siamo anche frutto di ciò che guardiamo sul grande schermo? Del protagonista che più si confà alla nostra esperienza di vita quotidiana?
Sembra ovvia la risposta, ma non troppo da poterla considerare definitiva.
Ad ognuno il proprio sì e il proprio no, nel frattempo attendiamo news relative alla continuazione delle quattro puntate che hanno riaperto il fascicolo Gilmore in ogni fan, con una possibile nona stagione che sciolga i futuri dubbi.
CIMOreporter – Francesca Galeone