LA ZONA D’INTERESSE, L’ORRORE AL DI LÁ DEL MURO

Jonathan Glazer ha voluto raccontare l’olocausto senza mostrarlo direttamente, raggiungendo tuttavia l’animo dello spettatore toccando le corde del dolore più profondo. 

“Il termine Olocausto indica il genocidio di sei milioni di ebrei, di cui furono responsabili le autorità della Germania nazista, i loro alleati e i collaborazionisti”. Di questo orrore sono piene le pagine dei libri di storia, quelle di innumerevoli saggi e romanzi, le numerosissime pellicole di film e documentari. Scrittori, giornalisti, registi, sceneggiatori hanno affrontato l’argomento per ricordare l’atrocità che ha colpito una popolazione intera, per evitare che le future generazioni potessero dimenticare tanto dolore, tanta morte ingiusta. 

Glazer, nella sua pellicola, inverte i ruoli e questa volta il protagonista non è la vittima ma il carnefice. Il personaggio principale è Rudolf Höss, ufficiale delle SS, colui che trasformò la prigione di Auschwitz in un campo di sterminio di massa, introducendo per la prima volta l’utilizzo del gas Zyclon B nelle camere a gas per velocizzare la morte dei prigionieri ebrei.   Rudolf, insieme alla moglie Hedwig e i cinque figli abitano la villetta a due piani con giardino e piscina al di là del muro del campo di concentramento. Una vita normale di una famiglia normale, la loro quotidianità, le ricche colazioni, i giochi in giardino, le merende, i tuffi in piscina, i colori dei fiori coltivati, le domeniche a pescare lungo le rive del fiume… la normalità della famiglia e la mostruosità del genocidio oltre il muro. Quel muro che non verrà mai oltrepassato dalla cinepresa, che nemmeno il film stesso ha il coraggio di superare. 

E’ la scelta del regista, quella di non mostrare mai cosa c’è dietro quel muro, quella di concentrarsi sul sonoro, rumori sinistri, grida, lamenti, urla che raccontano cosa succede a pochi passi, oltre quel confine. Glazer lascia allo spettatore la facoltà di immaginare le atrocità che stanno succedendo e riesce talmente bene nel suo intento che chi guarda spesso distoglie lo sguardo per paura di vedere ciò che non vedrà mai; è così che funziona, ciò che non vediamo assume una forza devastante che ci cattura totalmente.  L’autore voleva farci immaginare l’orrore, l’abisso in contrapposizione alla normale quotidianità della famiglia che vive con indifferenza e distacco il crimine che accade accanto a loro; ne sentono i suoni, ne respirano gli odori, le polveri facendo finta di niente, ignorando il male, il dolore, abituandosi a quei rumori come ci si abitua oggi ai rumori dei treni o del traffico.  

L’apatia è essa stessa un’atrocità; noi pensiamo che sia qualcosa di passivo ma in realtà è una scelta, quella di non lasciarsi coinvolgere, quella di guardare senza fare niente che impedisca il male, quella di non voler vedere. 

L’indifferenza, anch’essa è un crimine, quella di tutti coloro che hanno lasciato fare; è questo il messaggio più profondo e più nuovo che Glazer ci vuole lasciare, proprio perché l’insensibilità e il distacco verso il male altrui è indicibile e, purtroppo, molto attuale. L’indifferenza è un’atrocità che non è stata superata, che è presente nella nostra realtà e che difficilmente sarà sconfitta in un mondo in cui ognuno è concentrato su sé stesso e sui propri interessi. 

Vivere la propria vita ignorando la sofferenza e le tragedie del genere umano è un atto di profondo egoismo crudele e spietato… ieri, così come oggi.  

Matilde Martini