AVATAR: LA VIA DELL’ACQUA, IL FILM PIÙ ATTESO DI SEMPRE

Dopo un’attesa durata 13 anni, il 14 dicembre 2022 è approdato sul grande schermo il sequel del colossal di James Cameron, considerato forse il film più aspettato di sempre: Avatar, dalla sua prima uscita nelle sale italiane all’inizio del 2010, è rimasto tutt’oggi il film campione d’incassi nella storia del cinema (si sta parlando di cifre dal valore di quasi 3 miliardi di dollari) che, nonostante i lunghissimi tempi di produzione, non ha cessato di far parlare di sé come punto di riferimento nell’arte visuale cinematografica.

Avatar: La Via dell’Acqua si è dimostrato sin dagli esordi un progetto molto ambizioso con un fardello di grandi aspettative da parte del pubblico e della critica da portare sulle spalle: anche se l’ambientazione della Pandora subacquea è stata ricreata in post-produzione con la tecnica del CGI, Cameron ha voluto fortemente che le scene ambientate in acqua venissero girate all’interno di una piscina con lo scopo di ricreare, nel modo più realistico possibile, i movimenti in motion capture, sottoponendo gli attori a sfide fisiche volte a migliorare la loro resistenza in apnea. Si tratta di qualcosa che non è mai stato fatto prima d’ora, le cui difficoltà non hanno saputo metter un freno all’ambizione e alla puntigliosità del regista, il quale ha preferito prendersi tutto il tempo necessario affinché la sua idea potesse essere sviluppata come l’aveva immaginata.

Per una produzione di tal livello si parla di un budget da capogiro, intorno ai 400 milioni di dollari, che inizialmente aveva destato qualche preoccupazione in Cameron: in un mondo così frenetico e dinamico si temeva che l’hype generato dal successo del primo titolo potesse sfumarsi notevolmente, specie in un contesto post-pandemico che ha visto il pubblico timidamente tornare nelle sale solo di recente. Di certo, al di là dell’eredità lasciata dal primo film, che sicuramente ha motivato i fan nella lunga attesa, ciò che ha spinto il pubblico in sala, generando al botteghino più di 1 miliardo di dollari in sole due settimane, è la consapevolezza di come La Via dell’Acqua sia una vera e propria esperienza percettiva che va vissuta appieno all’interno di una sala cinematografica attrezzata di tutte le tecnologie necessarie per godersi la maestosità grafica dell’opera. La spettacolarizzazione dell’ambiente di Pandora raggiunge un altro livello nel sequel, intrecciandosi indissolubilmente con la trama: quello dell’ecosistema marino e della sua prevenzione è un tema molto caro al regista, il quale aveva già trasmesso un forte messaggio ambientalista nel suo primo film; dalla ricerca dell’unobtainium, che ha portato “la gente del cielo” (irrispettosa della loro Madre Terra) alla distruzione dell’Albero Casa del popolo Omaticaya, per arrivare nel nuovo film alla caccia ai Tulkun, i quali vengono abbattuti per ricavarne degli speciali enzimi cerebrali capaci di rendere gli esseri umani giovani in eterno.

Nel primo film della saga abbiamo seguito con il fiato sospeso il percorso interiore di un essere umano, Jake Sully, e della sua storia d’amore (ancor prima che con la sua compagna Neytiri) con la natura incontaminata di Pandora, rispettata e venerata dal popolo Na’vi, che si sprigiona sullo schermo in tutta la sua meraviglia grazie all’utilizzo degli effetti speciali; quest’ultimi hanno raggiunto un altro livello nel sequel, diventando un po’ la stella polare della sceneggiatura: una vecchia minaccia fa il suo ritorno, così Jake e Neytiri tentano di proteggere la loro famiglia fuggendo verso i popoli del mare. Tramite questo espediente narrativo il regista è riuscito a spostare la scena nell’ambiente che tanto voleva raccontare, i personaggi si muovono in esso per mostrarne la magnificenza e, al contempo, vivono le difficoltà e i drammi familiari. Sono stati presentati nuovi personaggi che, si intuisce, assumeranno un ruolo chiave nei 3 titoli a venire: a partire da Lo’ak (secondo genito di Jake e Neytiri), per arrivare a Kiri (nata dall’avatar di Grace e, successivamente, adottata dai nostri protagonisti), i quali risultano ben costruiti nel dettaglio. Lo stesso purtroppo non si può dire per altri personaggi, a malapena presentati e del tutto irrilevanti all’interno della narrazione, che assumono semplicemente il ruolo di spunto, per creare un collegamento con le vicende successive. Inoltre una scelta che potrebbe aver reso un po’ cliché il conflitto, è il ritorno di un colonello Quaritch un po’ rivisitato (ancora una volta interpretato da Stephen Lang), o meglio, di un avatar al quale sono stati impiantati i suoi ricordi al fine di usarlo come arma contro Jake.

Come c’era d’aspettarsi è possibile trovare delle vere e proprie citazioni al primo titolo che possono essere facilmente colte dai più appassionati: la più evidente è sicuramente presente nel finale, nel quale, esattamente come nel primo film, la telecamera si avvicina agli occhi chiusi del protagonista che poi si aprono in uno sguardo in camera. O, ancora, la scena in cui Kiri è sdraiata a terra, circondata dagli spiriti di Eywa, nella stessa posizione della sua ormai defunta madre, ai piedi dell’Albero delle Anime; un’altra chicca, meno facile da notare, la si trova in un frame all’interno di una delle scene iniziali nel quale Neytiri (che ci viene mostrata per la prima volta in gravidanza) tende l’arco per cacciare una preda, il quale risulta identico ad uno contenuto nella scena in cui la donna tentò di uccidere Jake poco prima del loro incontro.

Ad oggi per molti fan di vecchia data (me compresa) sembra un miraggio poter finalmente godere della visione di questo sequel, che non ha sicuramente deluso le aspettative per quanto riguarda la grafica e il visual, i progressi fatti nell’ambito della motion capture, le migliorie indiscutibili nel 3D e le scelte innovative anche per quanto riguarda l’HFR (con un mix di 48fps e i consueti 24fps. Dall’altro canto, dal punto di vista della sceneggiatura, si è sentita la mancanza di un approfondimento per ciò che concerne alcune questioni in sospeso dal primo titolo (come la morte prematura, un po’ sospetta, del fratello di Jake) e, piuttosto, c’è stata l’introduzione di tanta carne al fuoco volta a fare da collante con i capitoli successivi. Allo stesso tempo il messaggio di fondo (il rispetto e l’amore verso la natura) è rimasto intatto ed è stato ben tramandato da un film all’altro, ponendo nuovamente lo spettatore di fronte ad una indubbia denuncia sociale che potrebbe sembrare ad oggi un po’ scontata e ripetitiva, ma che in realtà risulta particolarmente efficace nel modo in cui Cameron riesce a coinvolgere il pubblico in sala: quest’ultimo non può far a meno che diventare pienamente partecipe nella causa sposata dai Na’vi e, così facendo, assume un atteggiamento di disappunto nei confronti della sua stessa specie, generando una sorta di dissonanza interiore che, si spera, possa avere delle conseguenze positive nel suo modo di agire, qui, sul nostro pianeta.

Sara Celona