LE NUOVE SFIDE DELLA COMUNICAZIONE NELL’ERA DIGITALE

Il nostro essere costantemente connessi ad una dimensione digitale da cui riceviamo un numero infinito di stimoli diversi sta modificando in negativo il nostro modo di pensare e di concentrarci sulle cose: come invertire questa tendenza?

Otto secondi.

Otto secondi è la durata media della nostra capacità di attenzione, addirittura inferiore rispetto a quella di un pesce rosso: questo quanto riportato da una ricerca scientifica condotta da Microsoft Canada nel 2015.

Il vivere in una dimensione sempre più digitale, sempre più veloce, frammentata, multitasking, sta rendendo la nostra soglia di attenzione e la nostra capacità mnemonica sempre più debole e questo perché il nostro cervello (ed insieme ad esso le nostre capacità cognitive) sta mutando, poiché bersaglio di un’infinità di stimoli diversi offerti soprattutto dai canali digitali.

L’utente di oggi è costantemente immerso in un oceano informativo senza precedenti: suoni, colori, scritte, offerte, promo, video… miriadi di prodotti mediali la cui fruizione risulta essere sempre più frettolosa e compulsiva. Basti analizzare le modalità di visualizzazione della home di Instagram o di TikTok: uno scorrimento potenzialmente infinito che tiene incollato l’utente per un tempo ‘’auspicabilmente’’ sempre maggiore.

In uno scenario simile, per chi si occupa di marketing e di comunicazione, le sfide si fanno via via più difficili, soprattutto se si opera nella dimensione del digitale e dei social media.

Il problema vero è che ad una sovrabbondanza informativa corrisponde la nascita di una scarsità di attenzione, un bene sempre più prezioso e sempre più ambito da aziende, influencer, brand etc. Si parla infatti oggi di economia dell’attenzione (attention economy), poiché quest’ultima è diventata altamente monetizzabile, alla stregua di beni e servizi: è diventata a tutti gli effetti generatore di profitto.

Come attirare l’attenzione del nostro target? Come guadagnare in otto secondi il suo interesse prima, e la sua fiducia poi? Come realizzare contenuti che risaltino in mezzo ad una pletora di altri contenuti tendenzialmente simili? Quale storytelling tessere attorno al prodotto o servizio che voglio vendere? Queste le domande di chi si occupa di social media marketing e di comunicazione, domande le cui risposte diventano sempre più difficili da trovare. Di fronte ad un contesto simile verrebbe da chiedersi quale sia l’opzione migliore: adattarsi ai tempi, alle logiche e ai codici di comunicazione del digitale o andare contro corrente prediligendo una comunicazione più lenta, che inviti alla riflessione, una comunicazione che sia essenziale, pulita, che adotti il concetto del ‘’less is more’’?  La sfida vera è far sì che quella soglia di attenzione non decresca ulteriormente, che la concentrazione degli utenti non venga continuamente interrotta e frammentata, in poche parole riuscire a prendere la direzione del cosiddetto ‘’slow media’’, concetto che sembra non interessare solo le sfide della comunicazione mediale ma anche il mondo dell’arte. La Tate Gallery ha infatti promosso un’iniziativa chiamata ‘’slow looking’’; si tratta di un’attività che incoraggia le persone a soffermarsi più a lungo di fronte ad un’opera d’arte, per un tempo che, secondo lo studio effettuato dal Tate, non dovrebbe essere inferiore ai dieci minuti, contro i nove secondi che sono stati registrati come permanenza media di fronte alle opere dello stesso museo.

In un mondo frenetico e sempre più complesso nasce l’esigenza di fermarsi un attimo, di tornare a riflettere, di allenare il pensiero critico, di alimentare la mente con contenuti di valore invece che con stimoli sensorialmente impattanti ma vuoti, di fake news, di trend e di falsi miti. La comunicazione dovrà andare in questo senso, abbracciando le necessità di semplicità e chiarezza degli utenti, sempre più consci di essere considerati come prodotti più che come persone.

Eleonora Preziosi