CASO MOLLY RUSSELL: SPINTA AL SUICIDIO DAI SOCIAL MEDIA

Il caso di Molly Russell ha sconvolto tutto il mondo. La giovane ragazza britannica aveva solo 14 anni quando fu trovata priva di vita nella sua casa a Harrow, un borgo di Londra. Ispezionando il telefono è venuto alla luce quello che il padre di Molly descrive come “un ghetto online senza via di scampo”: gli algoritmi di Instagram e Pinterest proponevano costantemente alla figlia contenuti dannosi che lei non aveva richiesto e che, oltre ad esaltare l’autolesionismo, scoraggiavano gli utenti dal cercare un aiuto professionale, trasformando l’esperienza in uno stillicidio quotidiano di disperazione.

Due settimane prima della sua morte, l’adolescente britannica ha ricevuto un’e-mail da Pinterest, con oggetto “10 depression pins you might like”,accompagnata da un’immagine che rappresentava un rasoio insanguinato. Anche Instagram stava facendo scoprire a Molly Russell scoprire nuovi contenuti sulla depressione: nei sei mesi precedenti la sua morte, la ragazza ha condiviso, apprezzato e salvato oltre 2.000 post su suicidio, autolesionismo e depressione.

È la prima volta che una società di social media viene accusata per la morte di un adolescente.  I due grandi dirigenti di Meta e Pinterest, che hanno testimoniato davanti al coroner senior, Andrew Walker, durante l’udienza, si sono scusati e hanno dichiarato di essere impegnati ad apportare continui miglioramenti per garantire la sicurezza di tutti, ma soprattutto dei più giovani.

Questa storia è arrivata anche a Buckingham Palace, dove l’erede al trono, William, il Principe del Galles, nonchéfondatore di Heads Togetheruna campagna per porre fine allo stigma sulla salute mentale, ha commentato il caso con un tweet, scrivendo: «Nessun genitore dovrebbe mai sopportare quello che hanno passato Ian Russell e la sua famiglia. Sono stati incredibilmente coraggiosi. La sicurezza online per i nostri bambini e ragazzi deve essere un prerequisito, non un ripensamento. W»

Tuttavia, il tasso di suicidi in adolescenza è ancora molto alto. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha identificato il suicidio come la terza causa di morte tra adolescenti e giovani. A tal proposito, Ian Russell ha rivolto un appello a coloro che stanno lottando con la propria salute mentale: «Per quanto sembri buio, c’è sempre speranza. Parlate con qualcuno di cui vi fidate o con una delle tante organizzazioni che possono aiutarvi, invece di guardare contenuti online che potrebbero essere dannosi, se siete affetti da uno di questi problemi, c’è tanto aiuto a disposizione».

Vorrei consigliare ai lettori il documentario di Jeff Orlowski, The social dilemma. L’obiettivo è quello di smascherare l’amara verità che si cela dietro ai social media, un mondo apparentemente perfetto che analizza e monitora i nostri comportamenti sulle piattaforme, per indurre dipendenza e vendere annunci pubblicitari mirati.

Clelia Setti