L’8 settembre debutterà su Disney+ il nuovo remake del celebre racconto di Carlo Collodi, Pinocchio. Il live action diretto da Robert Zemeckis, vedrà Tom Hanks trasformarsi in Geppetto, una nuova versione della fata madrina e dei personaggi inediti. Nel frattempo, anche su Netflix vedrà la luce una nuova versione di Pinocchio, che uscirà nel periodo natalizio, diretta da Guillermo Del Toro, dai toni un po’ più cupi.
Ci troviamo di fronte a una Pinocchio-mania, se così si può definire. Come mai siamo già al nono remake di questo grande classico (se contiamo il primo cartone animato del 1940, passando per quello con Benigni del 2002 e il pluripremiato di Garrone del 2019)?
Non è la prima volta che si rimette mano a un film del passato e lo si ripropone, restaurato o in una versione del tutto originale, al pubblico attuale. È un’azione che la Disney ha compiuto già più volte, con la maggior parte dei più famosi cartoni animati: Il Re Leone, La Bella e la Bestia, La Carica dei 101, Alice nel Paese delle meraviglie, Il libro della Giungla, Cenerentola, Dumbo, Mulan, insieme a Maleficent e Crudelia, che incentrano la storia sulle antagoniste di due fiabe.
Questa tendenza al remake affonda le sue radici nel desiderio di far conoscere, anche ai piccoli di oggi, le fiabe che hanno accompagnato noi e cresciuto le generazioni precedenti. Non si tratta solo di voler comunicare dei valori, che probabilmente troverebbero modi diversi di emergere, ma di riportare nel presente quel passato che ci ha fatto sognare.
Si sente tanto parlare di marketing della nostalgia che rimanda a oggetti o eventi del passato e, riproponendoli nel presente, fa leva sull’emozione scaturita dal ricordo. È una strategia vincente nel marketing, ma la si può applicare a svariati ambiti.
In questo caso si riportano in scena quei personaggi, che in fondo non ci hanno mai abbandonato, ma che abbiamo relegato a spazi lontani o in disuso ormai (i pupazzi nelle cantine, le videocassette impolverate, le sagome di cartone alle feste di compleanno…).
La nostalgia traduce proprio quel desiderio di togliere le ragnatele dalle antiche memorie e, come un abito che ritorna in voga, dar loro vita nuova. Questo è il vintage e se, per sua definizione, è un prodotto che risale ad almeno a 20 anni prima, tutti questi film possono essere considerati contenuti vintage.
Allora così come i grandi stilisti sanno che la moda è circolare e le tendenze di una volta possono essere ancora più redditizie oggi, allo stesso modo i grandi registi interpretano il bisogno presente in noi spettatori: rivivere, sui nostri nuovi schermi, le storie che abbiamo conosciuto da bambini e che ci toccano le corde delle emozioni più pure, sbloccando quei ricordi che profumano ancora di casa.
Carlotta Di Pasquale